Chicago, anni Trenta, proibizionismo. Avversario: Al Capone in persona (De Niro). Attaccanti: il prudente agente del Tesoro Eliot Ness (Costner) con la sua piccola squadra, l'incorruttibile irlandese Jim Malone (Connery), il roccioso italoamericano George Stone (Andy Garcia), il contabile Oscar Wallace (Charles Martin Smith). 120 minuti su sceneggiatura di un David Mamet giù di forma e regia di un De Palma anche lui non al meglio, troppo attento al look, vestiti (Armani), arredi, pistole, mitra, automobili, palazzoni, grandi set e la citatissima scalinata alla Ejzenštejn. La domanda è: come può quel bravo padre di famiglia di Ness liquidare quel perfido demonio di Capone? Risposta: diventando, almeno un po', come lui. I quattro cops sanno cavalcare come nei western: e proprio nella scena da western al confine Usa-Canada, c'è l'unico vero attimo da film gangsteristico. Uno degli uomini di Capone, venuti a prendere un carico di whisky, è prigioniero dei federali. Un altro gangster è già stato ammazzato. Nella baracca, Ness e Malone stanno cercando di far parlare il gangster vivo che tiene la bocca chiusa. Malone esce fuori, tira su il morto (il vivo non sa che il suo socio è morto), lo mostra a quello dentro, infila la pistola in bocca al morto, invita caldamente il vivo a parlare e spara: il vivo parla. Momento di improvvisazione e di brutale comportamento poliziesco. Così dovrebbero essere i film sui bravi poliziotti degli anni Trenta. Con più scene come questa.