Complesso di colpa mostra come il tema del doppio nel cinema di De Palma non debba essere ridotto a una chiave meramente psicologista o contenutistica, ma vada letto in modo strettamente formale. Il “due” che sta al cuore dell’immagine può esprimersi o come differenza – come nell’"incompossibilità" dei due diversi punti di vista negli split screen “cubisti” di Le due sorelle o Il fantasma del palcoscenico – o come ripetizione, come in questo film, dove tutto accade sempre due volte. La ripetizione però non è mai identica: ha sempre un décalage, una piccola e impercettibile variazione, che fa di questo doppio non un eterno ritorno, ma un altro spettrale e terrificante. Il ritrovamento della lettera minatoria o l’incontro alla Chiesa di San Miniato a Firenze portano tutti alla matrice di questo doppio: la “scena primaria” del rapimento, che De Palma ci mostra una volta con il volto della figlia Amy bambina, l’altra con quello da adulta di Sandra/Elizabeth (Geneviève Bujold). Perché è Amy/Sandra/Elizabeth (i nomi sono indifferenti, perché indicano semplicemente il medesimo posto strutturale) a essere intrappolata in quella scena, che è traumatica – e qui De Palma è freudiano fino alla lettera – non per l’evento originario, ma proprio per via del suo continuo e insistente ripetersi. Complesso di colpa è un film dove non c’è nemmeno un singolo fotogramma di realtà, ma dove non usciamo mai dai fantasmi inconsci (e la fotografia “irreale” di Vilmos Zsigmond lo mostra più chiaramente della contorta sceneggiatura di Schrader), perché – come dice lo psichiatra a Michael Courtland – «she’s caught up in your fantasy», lei è intrappolata nel tuo fantasma inconscio (ma la stessa cosa la si potrebbe dire del padre nei confronti della figlia). Tuttavia la ripetizione di Complesso di colpa sta anche nel film stesso: una sorta di cover hitchockiana non solo di La donna che visse due volte, come ammesso dagli autori, ma anche di Rebecca, la prima moglie e di Io ti salverò, a cui si aggiunge l’effetto straniante dato dalla partitura mimeticamente hitchcockiana di Hermann. Cinema esplicitamente meta-hitchcockiano e meta-psicoanalitico, proprio perché consapevole di agire all’interno di un mondo dove l’immagine – fantasmatica e cinematografica allo stesso tempo – è già diventata una seconda natura.