Probabilmente il primo film depalmiano al cento per cento. Pieno zeppo di tutto quello che il cinema del regista newyorkese era e sarebbe stato. Hitchockiano fino al midollo – quasi un remake di Psyco – eppure assolutamente personale, di un rigore assoluto e che nel 1973 somigliava poco o nulla a quello che si vedeva. Le due sorelle è un film libero, che va dove vuole e mischia i generi come gli pare. Che fa della New Hollywood uno strumento più che un modello e che inizia a imporre uno stile. Un film fatto di evidenze e simboli psicanalitici che stanno dentro, in quanto funzionali, alla narrazione. Come i decentramenti formali (le inquadrature larghe con i personaggi spostati dal focus, le soggettive sbilenche) che fanno eco a quelli semantici (l’essere straniera di Danielle e Staten Island che è New York senza esserlo per davvero). O i tagli che sono simbolici (lo split screen, metafora della dissociazione della protagonista) o effettivi (le cicatrici, la ferita mortale di Mike). Tutti elementi che contribuiscono a rendere il film teso, minaccioso e imprevedibile, senza sub-plot fuorvianti o divagazioni narrative ma capace – come le gemelle del titolo – di essere una cosa sola e due (o di più ancora) nello stesso tempo.