Laavor t hakir è l'opera seconda di Rama Burshtein, regista di La sposa promessa, presentato in concorso a Venezia nel 2012. Come nel primo, anche in questo film, si racconta di una giovane donna ebrea ultraortodossa che sta per diventare moglie e del suo rapporto con la tradizione e con la considerazione della comunità. Questa volta la regista decide però di cambiare registro, non solo perchè realizza una commedia invece che un dramma, ma anche per le scelte che fa dal punto di vista formale. La dominante perlacea e ovattata di La sposa promessa diventa qui nitore assoluto, il colore acceso dei dettagli che si staglia sul bianco luminoso degli ambienti, i vestiti eccentrici della protagonista e quelli colorati delle altre donne che dialogano in contrappunto con il nero profondo degli abiti degli uomini; tutto quello che là era opaco, opprimente qui è nitido, abbagliante, preciso, netto. Come la volontà travolgente di Michal tanto ferma e devota (al suo volere e alla convinzione che non possa non corrispondere al volere di Dio) da essere capace di dare al reale la forma delle proprie aspirazioni.
Eppure i due film non sono così diversi. Se il primo era infatti il racconto claustrofobico di una comunità che tenta di sovrastare la volontà del singolo sacrificandone la libera scelta in nome del rispetto della tradizione, qui il racconto è quello del trionfo assoluto della volontà del singolo e della sua determinazione nel perseguire il proprio bene, ma un bene che resta comunque profondamente legato ai dettami della tradizione.
Ed è proprio in questo che Laavor et hakir (che uscirà in Italia a novembre con il titolo Appuntamento con la sposa) dimostra quanto sia acuto e sottile il suo punto di vista. Ciò che ha di più interessante il film è infatti proprio il legame che questa nuova sposa promessa ha con la tradizione, dalla quale dipende totalmente ma della quale rifiuta di essere in balìa. Michal, che ha poco più di trentanni, ha una sola unica esigenza, quella di trovare marito e ciò che la muove non è tanto l'amore quanto il terrore di restare sola, compatita o peggio umiliata dalla comunità. Per questo Michal decide di utilizzare la tradizione come mezzo per raggiungere il proprio scopo. Svanito all'ultimo un matrimonio già organizzato, e confidando nella volontà di Dio, la ragazza decide infatti di mantenere invariati i programmi impegnandosi con tutte le forze "semplicemente" a trovare un sostituto nel poco tempo che manca alla data prevista per le nozze. Ma come fare? "Semplicemente" rispettando la tradizione, facendone propri i precetti, attenendosi alle scritture con tale ossessivo, puntuale, metodico rispetto da poter addirittura sembrare eccentrica - quando non completamente folle - eppure riuscendo a dimostrare, in fondo, di poter cosi mettere in forma il reale, per davvero.
Michal è una donna capace di travolgere tutto ciò che le sta intorno (a cominciare dalla realtà) con la forza della propria determinazione. "Se pensi che sia vero è vero" solo così, seguendo questo limpido consiglio, Michal esce dall'impasse in cui si trova quando il suo obiettivo sembra allontanarsi definitivamente; vaccilla Michal, ma è un breve tentennamento, dovuto alla stanchezza, alla delusione, all'inacettabilità della sconfitta. Vacilla ma poi prosegue, ferma convinta perchè, come insegna il rabbino Nachman di Breslov (sulla cui tomba lei si reca in pellegrinaggio), ogni fedele può essere il proprio "giusto", facendo propri gli insegnamenti della parola e conquistando il bene per sè, che non è altro, in fondo, che il rispetto proprio della comunità.