Un uomo dai capelli neri, in un elegante abito nero, suona un pianoforte nero all’interno di uno studio di registrazione cupo e privo di luci (in altre parole, nero). Davanti a lui, tecnici video vestiti di nero armeggiano una macchina da presa, ovviamente anch’essa nera. Alle spalle del musicista, invece, una lampada di forma circolare emette una flebile luce bianca, che avvolge la silhouette dell’uomo spezzando il quadro scenico.
Questo è il fotogramma chiave di One More Time With Feeling, un film che dovrebbe essere un documentario sulla produzione di un disco musicale, ma che si rivela in realtà un lungometraggio intenzionato a far luce sui sentimenti e sulle emozioni di un padre profondamente scosso dalla prematura scomparsa del figlio.
Il padre e il musicista coincidono nella figura di Nick Cave.
Disorientato dal lutto, rabbuiato nei confronti della vita, nei mesi successivi alla tragica morte del figlio Arthur, Nick Cave ha cercato rifugio nella propria arte, aggrappandosi ai tasti del pianoforte come a un’ancora di salvataggio e provando a esternare le emozioni e le angosce che lo assillavano. Eppure non bastava. Aveva bisogno di un aiuto esterno per dare ordine ai pensieri, per comprendere ciò che stava succedendo. Ecco perché si è rivolto all’amico regista Andrew Dominik, il quale ha “invaso” con le sue macchine da presa gli studi di registrazione di Cave per catturare la realtà dell’uomo e fare luce, in senso letterale, su ciò che restava della sua vita. Così, poco alla volta, l’oscurità prepotente e cinica del fotogramma descritto (e dell’anima di Cave) si è resa meno insormontabile, meno minacciosa.
One More Time With Feeling è un’elegia funebre, un viaggio ipnotico, sofferto e lacerante, dal quale è inevitabile farsi trasportare. La narrazione è destrutturata per lasciare spazio a un racconto emotivo che non bada a fare i conti con il raziocinio (cinematografico e non) e preferisce privilegiare le sensazioni generate dalle immagini e dai suoni. Non c’è retorica nella regia di Dominik; non c’è retorica nella musica di Cave. Semplicemente, c’è la necessità di provare a lasciarsi alle spalle (senza dimenticarsene) un trauma crudele e inconcepibile.
In questa lenta a scoperta del lutto, e nel tentativo di superarlo, sta l’importanza del film, molto più complesso e stratificato di quanto possa apparire. Poi, certo, si potrebbe parlare del sinuoso bianco e nero, dell’uso sapiente del 3D, delle musiche dei Bad Seeds e di Warren Ellis, dei densissimi testi di Nick Cave o, ancora, della straordinaria inventiva filmica di Dominik, che abbatte idealmente lo schermo cinematografico e crea un vortice comunicativo di rara efficacia.
Ma tutti questi sono concetti di testa, non di pancia. Vedendo One More Time With Feeling è meglio fermarsi un passo prima, meglio lasciarsi semplicemente cullare dal viaggio…