Un faro guida a distanza i naviganti e proietta la sua luce a perdita d’occhio da un’isola sperduta nell’Australia Occidentale. Tom Sherbourne (Michael Fassbender) è un ex-combattente sul Fronte occidentale dopo la Grande Guerra e ottiene l’incarico di guardiano del faro di Janus, nel tentativo di allontanarsi dal mondo e dalle immagini di un conflitto a cui è sopravvissuto. La possibilità di distanziarsi dal passato consiste nell’autobandirsi dalla società per espiare le proprie colpe. L’isolamento è addolcito da Isabel (Alicia Vikander, premio Oscar 2016 come miglior attrice non protagonista per The Danish Girl) che sposa Tom e sceglie di vivere a Janus. The Light Between Oceans (La luce sugli oceani), adattamento cinematografico di Derek Cianfrance dell’omonimo best seller del 2012 dell’autrice M. L. Stedman, porta in scena lo strazio di una coppia alla ricerca di un desiderio inappagato: avere un figlio. Isabel subisce due aborti, ma inaspettatamente l’oceano le restituisce una barca con una neonata e il cadavere di un uomo. Tom e Isabel decidono di allevare in segreto la bimba, che sarà così loro figlia, Lucy. Alla gioia ritrovata della coppia, nel frattempo, corrisponde il senso di vuoto e disperazione di Hannah (Rachel Weisz) che a distanza, sulla terra ferma, vive il lutto per la perdita della propria famiglia in mare; per lei il passato è un fantasma da allontanare. Gli equilibri nel corso del film si invertiranno, facendo vivere a Tom e Isabel il supplizio della separazione dalla figlia.
Le vicende del romanzo della Stedman offrono a Cianfrance materiale per lavorare su tematiche care al suo cinema precedente: il destino ineluttabile, le coppie e le famiglie colpite da fratture emotive non superabili, il senso di colpa lacerante, la solitudine irrisolvibile. I temi del melodramma cinematografico classico erano presenti e già stati reinterpretati efficacemente in Blue Valentine e Come un tuono. In quei film i tòpoi del mélo venivano attualizzati con asciuttezza stilistica e narrativa. In un ideale percorso evolutivo, The Light Between Oceans avrebbe dovuto proseguire questo processo di ri-generazione cinematografica, ma laddove ci si sarebbe aspettati un’evoluzione, si assiste ad una normalizzazione della scrittura e della regia. Non bastano i colori desaturati, dominante cromatica del film, a sancire il distacco dalla classicità del melodramma: il modello è riproposto nella forma dell’alternanza tra scene madri struggenti e costruiti cambi di prospettiva sul racconto.
Proprio la narrazione sovrasta le immagini e annulla la capacità di Cianfrance di avvicinare empaticamente chi guarda. La scelta è di accompagnare ogni istante lo spettatore attraverso una serie di momenti narrativi in cui ogni cosa è descritta e dove tutti gli eventi sono sottolineati, rimarcati, indicati. La regia di Cianfrance si accomoda dunque su uno stereotipo. Anche la colonna sonora di Alexandre Desplat sospinge le immagini nella direzione di un weepie programmatico e accentua attimi già resi enfatici dal regista e dagli interpreti. Il dolore sembra si possa esprimere solo grazie al pianto e all’espressività dei volti incorniciati in primissimi piani ricorrenti, il film strappa di continuo lacrime agli attori e il weepie si traduce letteralmente anche sui volti: lacrime copiose e accompagnate da singhiozzi per Alicia Vikander, trattenute, ma costanti, negli occhi lucidi di Fassbender.
The Light Between Oceans vive di una dialettica continua e irrisolta tra la distanza – ricercata dai personaggi, vissuta nell’isolamento di Janus – e la vicinanza emotiva ricercata sistematicamente da Cianfrance. Nel tentativo di avvicinarsi alla sofferenza dei protagonisti seguendo gli archetipi stilistici del mélo, il regista finisce per creare una separazione insanabile con lo spettatore e, allo stesso tempo, si allontana da nuove ipotesi di interpretazione del melodramma contemporaneo.