Solo l’erotismo ha il potere, nel silenzio della trasgressione, d’introdurre gli amanti in quel vuoto in cui il balbettare stesso è sospeso, in cui non c’è più parola concepibile, in cui l’amplesso non significa più solo l’altro, ma l’assenza di fondo e di limiti dell’universo. (Georges Bataille)
In quale momento della propria esistenza l’essere umano diventa la costruzione sociale di se stesso? Dalla nascita? Da quando inizia a parlare? Da quando dà un nome alle cose? E in quale momento torna a essere solo se stesso? Durante l’orgasmo e quando muore.
«L’erotismo è, nella coscienza dell’uomo, ciò che mette il suo essere in questione» (G. Bataille).
In pochi istanti tutto svanisce. Svanisce il passato, e con lui le città attraversate, i dolori sopportati, gli incontri fatti, le parole dette, gli impegni da portare a termine, gli obblighi mantenuti e le promesse disattese. Scompare il mondo.
«Ci incontriamo qui senza sapere cosa facciamo fuori di qui» «Perché?» «Perché qui non abbiamo bisogno di nomi» dice Paul a Jeanne, compiendo un atto forse anarcoide, di certo poetico, e permettendo a entrambi, benché per poco, di vivere altrove.
L’appartamento vuoto di Passy, in cui i due si incontrano per fare l’amore, è come un utero che li accoglie e li protegge, un luogo dove i due possono essere semplicemente un uomo e una donna: «Divertente! È come giocare ai grandi. Mi sembra di tornare bambina!».
D’altra parte gli appartamenti nel cinema di Bertolucci somigliano sempre a enormi ventri in cui i protagonisti, come dei feti in evoluzione, trovano riparo, maturano, si trasformano, per poi rinascere al mondo. Nella maniera vitale e generosa dei tre giovani protagonisti di The Dreamers (2003), forti della scoperta di loro stessi, avvenuta per mezzo di un percorso in cui il mondo viene appreso innanzi tutto attraverso il cinema, quindi con la musica, la politica, la sessualità; con un’azione liberatoria, dopo che le due solitudini di Io e te (2012) si sono rinfrancate e salvate a vicenda, tornando finalmente alla vita; attraverso una sospensione che doni un po’ di tempo al sentimento nascente di Mr. Kinsky e Shandurai ne L’assedio (1998), lasciando per qualche istante ancora il mondo fuori dalla porta.
La coppia di Ultimo tango a Parigi (1972), invece, non è in grado di rientrare nel mondo, non sopravvive al tentativo di normalizzarsi, proprio perché l’erotismo, la sua portata destabilizzante e violenta, è in totale antitesi con qualsiasi tipo di ordine.
Il gesto di libertà assoluta e commovente purezza che Paul e Jeanne si sono concessi non può avere luogo nella ripetitività tragica della vita di tutti i giorni, nel compromesso costante e nell’ipocrisia necessaria per la convivenza sociale, nell’immagine sbiadita e seriale della vita a due (Rosa, la moglie di Paul, aveva fatto di Marcel, l’amante, addirittura la copia scialba del marito), o in quella ingannevole e altrettanto banale della giovane coppia moderna.
E qui Jeanne a Tom, il fidanzato regista un po’ naïf che la interroga, risponde come avrebbe fatto Pasolini: «Come lo vedi il matrimonio?» «Il matrimonio? Lo vedo dappertutto, sempre» «Come dappertutto?» «Sui muri, sulle facciate delle case…» «Sui muri, sulle facciate…» «Sì, sui manifesti. Di che parlano i manifesti?» «Delle automobili, delle sigarette…» «No, la pubblicità parla della giovane coppia. La giovane coppia prima del matrimonio, senza figli. Poi, dopo il matrimonio, con i figli. Il matrimonio, insomma. Il matrimonio ideale, riuscito. Non è più quello all’antica, quello della Chiesa. Oggi il matrimonio della pubblicità è sorridente» «Sorridente, sui manifesti» «Sui manifesti, sì, ma perché non prendere sul serio il matrimonio sui manifesti? Il matrimonio… pop» «Ecco la formula. A gioventù pop, matrimonio pop. E se il matrimonio non funziona?» «Lo si ripara come un’automobile. Gli sposi sono due operai in tuta che riparano un motore» «E in caso di adulterio che succede?» «Invece di due operai ce ne sono tre o quattro».
A questo punto però il dialogo che, pur veritiero, procedeva con tono faceto, diventa disarmante. «E l’amore? Anche l’amore è pop?» «Ah no, l’amore non è pop» «E se non è pop, cos’è?» «Gli operai vanno in un appartamento segreto, si levano le tute, ridiventano uomini e donne e fanno l’amore».
Benché pronunciate con enorme dolcezza, le parole di Jeanne svelano il punto di non ritorno al quale la ragazza è giunta, rendendo inaccettabile quindi qualsiasi forma depotenziata, e di conseguenza falsificata, di ciò che la lega a Paul, non lasciando scampo nemmeno a lui.