Due minuti, secondo più, secondo meno.
Due minuti in cui si condensano l’attesa spasmodica, il brivido del proibito, la lucida consapevolezza dell’errore e l’impossibilità di agire altrimenti: è la sequenza del tradimento consumato da Scarlett Johansson e Jonathan Rhys-Meyers in un campo di grano inglese sotto l’occhio indiscreto di Woody Allen, regista di Match Point.
Due corpi perfetti, inevitabilmente attratti dalla calamita del desiderio; due menti affini, due storie di riscatto di provincia tanto distanti dagli agi borghesi in cui sono immerse, un po’ per caso, un po’ per scelta.
Sotto una pioggia battente, sigillo del risciacquo istantaneo delle rispettive coscienze, Nola e Chris, l’attricetta avvenente ma spiantata e il bel maestro di tennis, si amano appassionatamente a due passi dal pericolo, dalla rivelazione, dalla messa in discussione delle ambizioni di ciascuno; ambizioni che poi, nel corso del film, si scoprono assai eterogenee, l’una votata alla conquista dell’establishment, l’altra a una più semplice, sobria felicità lontana dai lussi e dall’élite che ne fa sfoggio.
Due labbra, quelle di Scarlett Johansson, che fin dal primo istante irretiscono lo spettatore, stordendolo con la forza di una naturalezza dirompente, con la promessa di baci là dove si sussurrano frasi o si sorseggia vino dai bicchieri.
La campagna britannica, nella celebre sequenza che segna il punto di rottura cinematografico fra la potenza e l’atto, è testimone della crudele, immarcescibile distanza fra amore e desiderio, fra giusto e sbagliato, fra prima e dopo: niente, passati quei due minuti d’incoscienza, sarà più uguale a quel che fu.
Un dì felice, eterea, / mi balenaste innante, / e da quel dì, tremante, / vissi d’ignoto amor. / Di quell’amor ch’è palpito / dell’universo intero, / misterioso, altero, / croce e delizia al cor.