La percezione che lo spettatore italiano ha del cinema francese, è tradizionalmente falsata dal numero esiguo di titoli che la distribuzione nostrana diffonde nelle sale.
Qui si apre l'eterno dilemma se tale disinteresse sia concretamente giustificato da una sostanziale indifferenza del pubblico italiano o se invece dipenda principalmente dal provincialismo, dalla sciatteria, dalla mediocre lungimiranza dei distributori della penisola. O ancora se sia il risultato di una micidiale miscela dei due.
Sia come sia, bisogna rilevare che la prima metà della stagione 2013-2014 ha rappresentato forse uno degli esempi più felici quanto a tempestività e qualità delle uscite. Basti pensare che è stata inaugurata da un piccolo, interessante film indipendente come Apache dell'esordiente Thierry de Peretti, distribuito anche se in modo sporadico, già dopo poche settimane dall'uscita in patria.
L'autunno-inverno 2013-2014 è stato dominato da alcuni film come Lo sconosciuto del lago di Alain Guiraudie, La vita di Adèle di Abdellatif Kechiche e Giovane e bella di François Ozon (nella foto), che hanno trovato, quale più quale meno, anche un loro pubblico.
Sono film molto diversi fra loro ma li accomuna un elemento: la dominante della corporalità. Nei film di Guiraudie, Kechiche e Ozon, le dinamiche del racconto aderiscono alla dimensione della carnalità, il mistero, l'opacità e al tempo stesso la trasparenza del corpo, come teatro dove affiorano le pulsioni. I corpi sono il teatro stesso dell'azione: il desiderio, l'emotività, i pensieri, le reazioni dei personaggi passano attraverso atti fisici contraddittori.
Ricollocando la corporalità al cuore di ogni dinamica, questi film si inseriscono in una linea del cinema francese che possiamo far risalire al cinema di Renoir e che è proseguita, per esempio, nei film di Maurice Pialat, dove la fenomenologia fisica dei personaggi prevale sui dialoghi e si confrontano individui appartenenti a storie e classi differenti (non è un caso che in un'intervista Ozon abbia citato proprio il nome di Pialat).
In questi tre film, inoltre, viene declinata una sessualità che la massa definisce "diversa" oppure (nel caso della prostituzione deliberatamente intrapresa dalla protagonista di Giovane e bella) che è oggetto di unanime deprecazione. Nei primi due casi la naturalezza di una sessualità sviscerata nella sua realtà costituisce anche, accessoriamente, una risposta ai riflussi moralistici duri a morire.
Nei film di Guiraudie e Kechiche troviamo un'analoga assenza di reticenze, una spregiudicatezza che si inoltra fino a raccontare l'intimità degli amplessi. Il primo privilegia la penombra, l'en plein air, una natura dall'aura mitica e descrive quell'oscura alchimia delle passioni dove si fondono desiderio e pericolo. La plasticità dei rapporti sessuali è mostrata con la stessa spregiudicatezza di Kechiche.
Al bosco e al crepuscolo di Lo sconosciuto del lago subentrano in Adèle gli interni torridi e la luce piena e artificiale delle camere da letto dove si consuma una passione che deve essere protetta dai pregiudizi degli altri, anche perché esposta alle turbolenze dell'adolescenza. Questa è l'età in cui tutto può accadere, anche nelle derive, ma come ogni fenomeno, anche la passione adolescenziale subisce il logorio del quotidiano, delle reciproche diversità e si guasta per combustione interna.
Il mistero dell'adolescenza è evocato nelle sue ambiguità da Ozon in Giovane e bella dove il rifiuto della normalità passa attraverso il gusto di una reiterata e rituale degradazione, mentre la società normale intorno alla giovane “bella di giorno” viene denudata nelle sue paure e fragilità proprio dalla malinconica, apatica disponibilità randagia della protagonista, che nel suo silenzio ostinato sembra esprimere il malessere e la rivolta implosa di una generazione apparentemente obbediente.
Anche Laurent Cantet in Foxfire – Ragazze cattive privilegia l'adolescenza ma sceglie il quadro di un'altra epoca, un'altra geografia, un'altra utopia: la provincia statunitense vissuta come una prigione di abbrutimento maschilista da alcune ragazze povere che si ribellano all'American Dream e all'American Way of Life, inseguendo il sogno di una Comune, ma non riescono a reggere l'attrito con i problemi prosaici del quotidiano. Solo in un altrove (la Cuba della rivoluzione) una di loro sembra aver trovato se stessa.
In Mood Indigo – La schiuma dei giorni, che Michel Gondry ha tratto dal romanzo di Vian, l'adolescenza perenne dei protagonisti viene investita da un crudele processo di corruzione che colpisce il corpo della giovane sposa (minata da un male incurabile che ha le apparenze rassicuranti di una ninfea). Questo processo trova un'efficace visualizzazione nella progressiva miniaturizzazione degli spazi, che diventano sempre più angusti, soffocanti e fatiscenti man mano che la storia precipita verso il drammatico finale. Il diventare adulto dell'ex ricco, ex felice, ex ragazzo Colin consiste nel sopravvivere alla morte dell'amata.
Sono adolescenti anche i protagonisti di Apache dove il neo-regista de Peretti riprende la contaminazione fra realtà e finzione per mostrare la fisionomia insolita di una Corsica non turistica, marginale e inquietante (ma il film rimane un po' al di qua delle proprie potenzialità).
Autore di alcuni noir non privi di qualche interesse (Cette femme-là, edito in Italia solo in Tv con il titolo Violenza estrema), Guillaume Nicloux si misura con un nuovo adattamento della Religieuse di Diderot dopo il capolavoro di Rivette. Più tradizionale ma vigoroso, il suo La religiosa racconta l'ostinata resistenza del corpo di un'adolescente che subisce la prigionia conventuale senza averne la vocazione. L'innocenza e l'ostinazione di Suzanne diventano una verifica della repressione vissuta, ciascuna a suo modo, da due madri superiore, suor Christine che la odia e la umilia, e la superiora del convento di Saint-Eutrope (Isabelle Huppert, straordinaria come sempre) che si innamora addirittura di lei e la investe del proprio sentimento.
In due commedie femminili, che proseguono una ciclicità autobiografica, Un castello in Italia di Valeria Bruni-Tedeschi e 2 giorni a New York di Julie Delpy (foto in alto), alcuni nodi essenziali passano, ancora, attraverso i corpi. Quello malato e destinato a morire del fratello di Louise nelle nuove e amare avventure della famiglia Rossi Levi/Bruni-Tedeschi, che si rispecchiano nell'abbandono e nella svendita del castello avito e nell'abbattimento degli alberi secolari. Quello nevrotico e dalla castità coatta di Marion nel riuscito seguito di 2 giorni a Parigi, che, espatriata nella metropoli statunitense, è costretta a confrontare la precaria normalità del proprio ménage con il giornalista Mingus all'invadenza del padre e della sorella francesi, incontinenti e assatanati. Il corpo selvaggio, incontinente, sfatto e "sporco" di papà Jeannot (interpretato dal padre della regista, Albert Delpy) è, se vogliamo, quasi un epigono più anziano di quello, non addomesticabile, del Boudu di Renoir.
In un altro film autobiografico, Tutto sua madre (foto in basso), l'autore-attore Guillaume Gallienne cerca di adattarsi in tutti i modi ai pregiudizi che i familiari hanno da sempre sulla sua identità sessuale e si proietta nel corpo di sua madre (dove si mimetizza egli stesso), tranne poi scoprire, al termine di un tragicomico calvario, di non essere quello che tutti credono sia. Il film è spassoso e intelligente ma il colpo di coda finale non è esente da un certo conformismo, attento a cauterizzare ogni implicazione perturbante dalla rassicurante scoperta di sé.