Il cinema francese, con tutte le sue contraddizioni, continua a rappresentare un modello culturale e industriale unico in Europa. Come è noto lo stato investe nella cultura e quindi anche nel cinema in una misura neanche paragonabile alla degradata situazione nostrana (dove fortunatamente ancora resistono significativi cineasti giovani e vecchi e si afferma sempre più un interessante cinema "di provincia").
Sul piano del mercato, le sale francesi attirano ancora 204 milioni di spettatori (dati del 2012, contro i 91,3 in Italia), grazie a strategie distributive spesso intelligenti e attente. Soprattutto, il cinema francese ha saputo mantenere la sua identità non come ottuso nazionalismo ma come diversità: è un cinema diversificato sia per quanto riguarda le generazioni di autori in attività - che vanno dall'ultranovantenne Alain Resnais a, per esempio, la giovane promessa trentenne Rebecca Zlotowski -, di attori, sceneggiatori, direttori della fotografia, scenografi, sia per quanto riguarda i generi, dal noir al polar (il poliziesco transalpino) alla commedia e al dramma.
Il rovescio della medaglia è rappresentato da quel cinema commerciale transalpino (si pensi alle produzioni di Luc Besson), che riesce ad essere esportato ovunque perché perfettamente (e mediocremente) omologo alle produzioni a stelle e strisce. Ma anche questi prodotti contribuiscono a riempire le casse del cinema nazionale, che interviene a sostenere, con formule di coproduzione, film europei, asiatici, africani e arabi, favorendo spesso l'affermazione internazionale di cineasti di primo piano (si veda, per esempio, il ruolo importante svolto, soprattutto fino al recente passato, dal canale televisivo franco-tedesco Arte).
Nel maggio scorso la ministra del commercio estero Nicole Bricq è riuscita a difendere, grazie al diritto di veto, l'eccezione culturale rispetto alle richieste statunitensi di eliminarla. “L'eccezione culturale”, come scrive Francesco Merlo su Repubblica (15 giugno 2013),
«non è la difesa del sussidio all'italiana, non è la clientela, non è il cinema dei Vanzina e neppure il Maxxi che è diventato una ridotta provinciale. L'eccezione significa che il cinema, la televisione, la musica, tutto l'audiovisivo, e anche gli abiti mentali non sono soltanto merce ma identità».
Naturalmente anche il paesaggio francese non può essere idilliaco e recentemente i professionisti del cinema e la critica specializzata si sono interrogati su alcuni elementi negativi (contrasti interni, tendenze alla “normalizzazione”) che, a lungo andare, potrebbero intaccare quella "diversità" che è una delle forze di questa cinematografia. Ma sembra di poter contare sulla loro vigilanza e lungimiranza.
Questa rubrica si propone di essere un osservatorio sul cinema francese, soprattutto quello che viene diffuso in Italia (ma non solo) con analisi di fenomeni e tendenze, recensioni dei film, interviste, per inquadrare il contesto produttivo e creativo da cui provengono quei film transalpini che, non di rado, arrivano nelle sale italiane come oggetti "esotici" e casuali.