Aaron Schimberg

A Different Man

film review top image

Sul corpo come spazio di espressione di senso e prediletta sineddoche del contemporaneo, Aaron Schimberg, al terzo lungometraggio indie, declina un’appendice straniante e ombrosa in cui solo il volto è viscerale cartografia del mimetismo e dell’adattamento o, nell’apogeo del paradosso, manifesto apollineo del respingimento e della disfatta. L’io non denudato dalla malattia (come in Dietro la maschera di Bogdanovich), ma sepolto dalle tragicomiche aporie della rinascita e della catarsi, in una frantumazione dove il gioco psichico delle convenzioni capitola anzitempo rispetto alle insidie della malformazione fisica.

Livida e raggelante antifiaba (ispirata a La bella e la bestia nella trasposizione di Jean Cocteau), A Different Man scandisce in due atti la parabola di Edward, un attore affetto da neurofibromatosi tipo 1, che trova nell’amicizia con un’avvenente drammaturga, Ingrid, il bagliore di un sentimento. Quando la mostruosità regredisce dopo un trattamento sperimentale, Edward rinnova la sua identità sulle ceneri del passato, nei panni di Guy (un tipo qualunque), ma si vedrà sfuggire sia la donna che un ingaggio teatrale, non appena un eguale malato, più padrone di sé, diventerà la sua agrodolce nemesi.

In una New York minimalista, prosciugata in Super 16 mm che ammanta la palingenesi di Edward di un'opacità off come la Broadway d’ambientazione, Schimberg dispiega un paradigma non moralistico di antropologica freddezza e intraprende grottesche vie di surrealtà kafkiana, trafitte dalle inquietudini di Polanski (citato con storpiatura), nella messinscena concettuale di un appartamento di grigiore urbano, nell’indifferenza reciproca fino all’annichilimento. Nel greve e irriverente scacco esistenzialista gremito di luttuosi doppi, propri del regista polacco, e sosia dostoevskiani, A Different Man discosta la forma dalla maschera in un ribaltamento pirandelliano, dove l’autenticità non si disinnesca dalla trasparenza ma dall’elaborazione della complessità, che è antidoto alla follia e alla morte, fino a un apologo di allucinata deflagrazione degna del cinema di Ferreri.

Uomo che non ride, contrariamente a quello di Paul Leni (se non nel finale aperto), Edward/Guy (che Sebastian Stan, premiato ai Golden Globe e a Berlino, imbruttisce nella bellezza principesca) personifica un freak soccombente alla standardizzazione dell’arte e all’estenuante talento dell’essere, ma senza la grazia del fallimento né l’aulica cognizione della distanza, che decanta Thomas Bernhard in un suo romanzo. Schimberg, in una poetica sensibile alla deturpazione, sviscera la dialettica tra identità e apparenza nella scrittura dell’incubo lynchiano, ma senza audace vocazione nel secondo quadro del dittico, dove un accennato torcimento narrativo e una decostruzione onirica depongono le suggestioni della disturbante ambiguità e della contaminazione sintattica, per un decorso più ordinario, decifrabile.

Lo stile ondivago di un cinema decentrato e provocatorio non defluisce nelle logiche del thriller, perseguite tramite manierati zoom e approssimativi take di pedinamento, né i suoi rigurgiti beffardi sublimano l’astrattezza di un campionario umano sbilenco, che resta sulla soglia di una cerebrale commedia nera, con l’esito di occhi senza volto (richiamando un titolo di Franju) e senza sguardo. In una storica tradizione di variazioni sul tema della deformità, con l’intervento ancillare o degradante della scienza, il regista non cesella infatti una semantica dello sguardo che non sia quella più consequenziale, incastonando virtuosistici movimenti speculari e primi piani rivolti in macchina che puntellano il discorso filmico senza una più integrata articolazione.

Una spuria composizione dell’alterità che si riverbera nella compromessa presa empatica del protagonista, pur onorata dall’interprete. Ma in un film minuto, controcorrente e acerbo si schiude anche la possibilità di una diversità sinistramente seducente, negli inserti di defilati figuri: uno sconosciuto esagitato, una vicina in nero, una donna velata, inquadrati nella dignità di un’umanità perturbante, fragile e refrattaria alla compiacenza (praticata da Ingrid e dal rivale) in cui si può, se non porre fede, almeno specchiare senza remore se stessi.


 

A Different Man
Stati Uniti, 2024, 112'
Titolo originale:
id.
Regia:
Aaron Schimberg
Sceneggiatura:
Aaron Schimberg
Fotografia:
Wyatt Garfield
Montaggio:
Taylor Levy
Musica:
Umberto Smerilli
Cast:
Sebastian Stan, Miles G. Jackson, Patrick Wang, Neal Davidson, Jed Rapfogel, Marc Geller, James Foster Jr., JJ McGlone, Sergio Delavicci, Lawrence Arancio
Produzione:
A24, Grand Motel Films, Killer Films
Distribuzione:
Lucky Red

Un aspirante attore condizionato da una neurofibromatosi che gli segna il volto vuole provare un trattamento sperimentale per cambiare aspetto.

poster