Francesco Costabile

Familia

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Francesco Costabile, sin dalla sua opera prima, Una femmina, ha avuto ben presente l’imperativo di portare allo scoperto un’idea precisa di cinema, e di cui anche Familia con rigore beneficia, anzi ne costituisce il rafforzamento in termini etici e pedagogici; a patto però che si colga bene l’essenziale distanza che intercorre tra il mostrare e il mostrato, l’oggetto della rappresentazione e l’approccio scelto per affrontarlo, la sociologia e l’antropologia, intrisa di un sottotesto psicanalitico profondo e autoreferenziale esteso alla compagine pubblica. Due titoli, Una femmina e Familia, accomunati dall’iniziale “F”, che concorre a sottolineare quanto le dinamiche femminili siano un radicato fattore familistico sigillato dal silenzio.  

Come in Una femmina la famiglia come nucleo di una società criminale allargata veniva filtrato da una lente molto attenta a usare il fuori fuoco come emblema della dismisura ambientale e contestuale, in Familia questa medesima propensione a (far) guardare parzialmente l’inguardabile, ovvero a dire l’indicibile, in assenza di sbocchi istituzionali di pronto intervento ed efficacia sociale, smette di agire nello spazio chiuso e inviolabile del clan calabrese per allargare i segni dell’inquietudine a una cornice urbana altrettanto poco rassicurante. La scelta del secondo film di Costabile di procedere dal libro autobiografico Non sarà sempre così di Luigi Celeste (edito da Piemme) non deve far dimenticare l’effettiva matrice del pregresso Una femmina, con buona pace dell’impressione strettamente realistica. L’autore di Familia, allontanando il titolo dall’originale cartaceo e centrando il vero bersaglio discorsivo, non si limita a prendere in carico una vicenda dai risvolti forti ed esemplari per reclamarne l’immediata urgenza sullo schermo e senza procedere a un conguaglio con Una femmina. Non si tratta in entrambi i casi di rievocare i fatti quanto di esplorarne le vie di fuga.

L’indizio stilistico fondante è la costipazione del campo visivo mediante la reiterazione di elementi verticali paralleli che fungono da mascherino scenografico pronto a mascherare in pratica la completa presa di coscienza del dramma. A questa coazione a ripetere del campo non completamente accessibile allo sguardo si salda quindi la quasi costante rimozione di intere porzioni dell’immagine che altrimenti la messa a fuoco integrale renderebbe insostenibili. Il procedimento investe così tanto il giovane protagonista dentro una famiglia disfunzionale, poiché costretta in un regime patriarcale e violento, quanto lo spettatore stesso, tenuto a intervenire ma frustrato dalla condizione implicita di trovarsi al sicuro davanti allo schermo. La duplice accezione di “schermo”, come spiega Francesco Casetti nel suo ultimo saggio, Schermare le paure (Bompiani), rende perciò chiara la prospettiva di Familia in cui non c’è impianto melodrammatico che tenga, né giustificazione ammonitrice, ma una dolente discesa negli inferi di un mondo parentale e domestico di lungo corso. Ripararsi al cinema dal mondo per ragionarci alla giusta distanza non basta. Uno schermo proiettivo non salva l’altro, protettivo. Occorre invece poter elaborare l’incubo, coniugando lo schermo inteso come superficie della proiezione conscia con l’accezione di schermo come protezione fisica e psichica, assegnando agli eventi un viatico audiovisivo parallelo: quello di Luigi bambino che si interfaccia al sé post-adolescenziale e lo insegue, senza riuscirci e quindi salvandosi. Insomma, in questa logica della compresenza da Familia emerge l’unica modalità di scampo sostenibile offerta dallo schermo in tutti i sensi: accettare il paradosso spazio-temporale di personaggi in grado di coesistere con le loro diverse età e i gradi di consapevolezza, onde poter intervenire mentalmente prima che tutto il meccanismo di paure connesse al familismo amorale vada fuori controllo. Interiorizzando la prevenzione, ecco che il film di Costabile si dà a vedere e sentire, con le sue zone d’ombre precluse alla percezione, come terapia collettiva e per molti versi storico-politica, se certe storture di vecchia data si sono sedimentate al punto da scatenare comportamenti, culture e indirizzi governativi di stampo neofascista.

L’autore, consapevole di questo tessuto complesso che si sviluppa su più piani, giungendo a prefigurazioni allegoriche di largo respiro, presta attenzione alle vittime e al carnefice a un tempo, consente a tutti i personaggi connessi di presentarsi come pezzi di un puzzle il cui guasto va rintracciato a monte, dove ancora è dato agire, laddove a valle diventa irreparabile. Ecco perché in questo tragico “gruppo di famiglia in un interno”, non occasionale ma sistemico, neppure il cattivo esempio contingente, quello del pater familias orco, è estraneo alla compassione umana e al diritto di essere sottoposto al vaglio della persona funesta e altrimenti incapace di esprimersi con forza distruttiva e autodistruttiva, crudele e letale lucidità. 


          

 

 

Familia
Italia, 2024, 120'
Titolo originale:
id.
Regia:
Francesco Costabile
Sceneggiatura:
Adriano Chiarelli, Francesco Costabile, Vittorio Moroni
Fotografia:
Giuseppe Maio
Montaggio:
Cristiano Travaglioli
Musica:
Valerio Vigliar
Cast:
Barbara Ronchi, Francesco Gheghi, Tecla Insolia, Francesco Di Leva, Enrico Borello, Marco Cicalese
Produzione:
Indigo Film, Medusa Film, O' Groove, Tramp
Distribuzione:
Medusa

Luigi ha vent’anni e vive con sua madre Licia e suo fratello Alessandro, i tre sono uniti da un legame profondo. Sono quasi dieci anni che nessuno di loro vede Franco, compagno e padre, che ha reso l’infanzia dei due ragazzi e la giovinezza di Licia un ricordo fatto di paura e prevaricazione. Luigi vive la strada e, alla ricerca di un senso di appartenenza e di identità, si unisce a un gruppo di estrema destra. Un giorno Franco torna, rivuole la sua famiglia, ma è un uomo che avvelena tutto ciò che tocca...

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