Nella storia del cinema, fantascienza e horror, a seconda delle epoche, divergono o si sovrappongono come lame di una forbice.
Attualmente siamo in un periodo di forte divergenza: mentre la fantascienza punta sugli effetti speciali – basti pensare a Man of Steel o a Pacific Rim, film nei quali il digitale mostra i muscoli – l'horror tende invece a frugare nella vecchia cassetta degli attrezzi, confidando di trovarvi ancora gli utensili giusti.
L'evocazione è un omaggio all'horror dei tempi che furono: assi del pavimento che scricchiolano, porte che si aprono cigolando, oggetti che si muovono da soli, rumori fuori campo, cantine male illuminate, case isolate nel bosco. Come in un altro horror recente, Sinister, quando si tratta di spaventare il pubblico, le ricette della nonna sono ancora buone. Soprattutto se calibrate con la sapienza di un cineasta che, al secondo film consecutivo sul tema della casa infestata (si veda al riguardo l'altrettanto pregevole Insidious), ha ormai preso confidenza con l'armamentario del brivido domestico giocato in chiave minimalista, che mira a spaventare lo spettatore non facendogli vedere quasi nulla e non facendogli sentire quasi niente.
Nell' epoca della panvisibilità digitale, alcuni horror si stanno ritagliando un ruolo di orgogliosa resistenza alla contemporaneità, tornando indietro nel tempo (sin nell'ambientazione: la storia si svolge all'inizio degli anni settanta) e recuperando le atmosfere del passato. Sotto questo punto di vista il titolo - to conjure up in italiano significa sia “evocare” che “far apparire” - suona innanzitutto come una dichiarazione di poetica, un'indicazione di stile.
La vera storia di Ed e Lorraine Warren (Patrick Wilson, Vera Farmiga), investigatori del paranormale di fama mondiale, chiamati ad aiutare una famiglia terrorizzata da una presenza oscura in una fattoria isolata. Costretti ad affrontare una potente entità demoniaca, i Warrens si trovano coinvolti nel caso più terrificante della loro vita.