Quando Mikuan, ancora bambina, scopre che la sua migliore amica Shannis, dopo la presunta morte della madre, si è trasferita dalla zia, decide di raggiungerla a piedi, ma lo decide utilizzando una mappa, cerchiando con un pennarello due punti e tracciando un percorso all’interno della riserva dove la loro comunità, gli Innu, vive.
La cartina geografica sembra essere il punto di contatto simbolico tra tutti gli elementi di Kuessipan (disponibile su Amazon Prime), secondo film di finzione della regista canadese Myriam Verreault. È la storia di due amiche, due cerchi in una mappa uniti da una linea sottile, due luci nel buio (così vengono presentate nella prima sequenza), due facce diverse della stessa comunità, due ragazze, quasi sorelle, ma con due futuri agli antipodi: Shannis diventa madre, mentre Mikuan inizia a frequentare un corso di scrittura creativa fuori dalla riserva, si innamora di Francis e sogna l’università. Alternando così la sua percezione del mondo tra fuori e dentro i confini della riserva.
Myriam Verreault viene dal documentario e, proprio con tono documentaristico, si immerge all’interno della comunità degli Innu, un’antica popolazione autonoma del Québec. Non lo fa da esterna o da turista, il suo sguardo non è quello nei confronti di un’alterità o di un altrove. Il punto di partenza è, infatti, il romanzo omonimo dell’autrice Naomi Fontaine, qui sceneggiatrice, che già nella sua dimensione letteraria guardava con toni documentaristici alla comunità degli Innu (alla quale appartiene). In questo bilico tra fiction e non fiction, la regista restituisce un coming of age dalle derive tragiche, con tanta carne al fuoco (amicizia, amore, adolescenza, famiglia, fratellanza, diversità…), forse troppa, e con un occhio che sembra guardare in continuazione a quel cinema indipendente americano che ha fatto del coming of age uno dei suoi principali punti di forza.
I processi di modernizzazione e globalizzazione hanno messo a rischio la sopravvivenza degli Innu: una realtà nomade poi diventata sedentaria. Una comunità di nativi che si riconosce in un territorio, dentro a confini, in una cultura e in una lingua antica. A questo riguardo il film sembra sottoporsi al tentativo di raccontare una certa “resistenza territoriale”. Un tentativo di sopravvivenza alle logiche capitalistiche ed espansionistiche, alla progressiva internazionalizzazione della produzione (si discute anche l’ipotetica vendita della loro miniera a una corporazione). Ed è qui che torna la mappa, come “gesto” di presenza e appartenenza, come addomesticamento di un territorio che, in qualche modo, si vuole possedere (in questo caso la riserva di Uashat).
È quella che il geografo Franco Farinelli definirebbe ragione cartografica, ovvero la comprensione e l’addomesticamento del mondo secondo logiche statiche e semplificate della carta geografica. Se la globalizzazione ha portato al superamento della mappa, alla cosiddetta crisi della ragione cartografica, in questo film la “resistenza territoriale” è applicata proprio nella persistenza della mappa, utilizzata esclusivamente per illustrare i luoghi della riserva, come elemento netto e inamovibile.
Mentre, per esempio, in We Are Who We Are di Guadagnino (un altro coming of age che ragiona similmente sui contatti tra territori organizzati e distinti da netti, seppur ambigui, perimetri) i confini vengono continuamente superati tanto da scomparire lentamente, in Kuessipan, pur venendo scavalcati, rimangono stabili; dando modo così alla protagonista di lasciarseli alle spalle solo attraverso la poesia recitata in voice over, unica valvola di sfogo, lenta, intima, assoluta.
Mikuan e Shaniss sono due amiche inseparabili che crescono in una riserva Innu del Quebec. Mentre Mikuan vive in una famiglia piena di affetto, Shaniss vive un'infanzia dolorosa. Da bambine si promettono di stare sempre insieme, qualunque cosa accada. Ma ai loro 17 anni, la loro amicizia si rompe quando Mikuan s'innamora di un ragazzo bianco e sogna di lasciare la riserva, troppo piccola per i suoi ambiziosi progetti.