Un’Alfa Romeo tirata a lucido parcheggia nell’aia di una casa di campagna, creando scompiglio tra le oche. Ne esce una ragazzina coi capelli rossi e il vestito della festa. Basterebbe quest’immagine iniziale per definire immediatamente i due mondi distinti e contrapposti al centro del film. L’Italia del boom economico, delle vacanze al mare e della buona educazione, e quella rurale, contadina, dove si lavora alla giornata e il dialetto è l’unica lingua conosciuta, pure a scuola. In mezzo c’è lei, l’Arminuta, che in abruzzese significa “la ritornata”. Lei che, più che ritornare, viene strappata a quella che crede la sua famiglia d’origine per essere consegnata a un’altra famiglia, molto più numerosa e molto più umile. Un padre burbero e manesco e una madre segnata dalla fatica e da un dolore nascosto. Loro, le dicono, sono i suoi genitori naturali. Cinque figli, cinque bocche da sfamare, quattro maschi e una femmina. E ora è arrivata pure lei, che viene dalla città e non è abituata alla dura vita della campagna, “non sa fare niente”, dicono i fratelli più piccoli. Solo Adriana, la sorellina, e Valerio, il fratello maggiore, sembrano dedicarle un po' d'attenzione. Arminuta non si riconosce in quella realtà così estranea. Si sente come il protagonista del racconto di fantascienza che scriverà su suggerimento della maestra: un alieno. La sua diversità è evidente prima di tutto nell’aspetto: la chioma, folta e appariscente; l’abbigliamento, sempre curato ed elegante; pure il linguaggio, più colto di quello dei fratelli e delle compagne di classe. La sua vita precedente è raccontata da brevi e intensi flashback, in cui tutto ha più colore: le passeggiate sul lungomare, i giochi con l’amica del cuore, una villa grande e ben arredata. Ma quell’esistenza dorata non è priva di crepe, come appare chiaro dalla figura sfuggente di Adalgisa, la madre che l’ha cresciuta e che ora l’ha riportata indietro, come se fosse un pacco. E che ogni tanto le fa trovare una busta piena di soldi, senza però mai farsi vedere.
L’Arminuta di Giuseppe Bonito è tratto dall’omonimo romanzo di Donatella di Pietrantonio, vincitore del Premio Campiello 2017, ed è scritto dalla stessa autrice insieme a Monica Zapelli. Un film in cui la narrazione è affidata ai gesti e agli sguardi più che ai dialoghi. Di parole, in realtà, se ne dicono ben poche: non viene detto il nome della madre naturale né quello del padre, persino il vero nome della protagonista non sarà mai pronunciato. Soprattutto, è taciuto il motivo del suo ritorno in quella famiglia, e tutti, intorno a lei, sembrano sapere ma non voler dire. L’Arminuta è un film costruito sul silenzio. La regia indugia spesso sui primi piani dei personaggi, interpreti muti di una società ingiusta e arretrata, e sull'angoscia silente dei loro volti. Nei brevi momenti di gioia - una serata al luna park sulla giostra a seggiolini, un pomeriggio di fuga in spiaggia, un giro in moto con un amico gitano - la musica sovrasta l’immagine, sostituendosi all’emozione espressa verbalmente. Pure nel pianto per un figlio morto giovanissimo, il lutto è completamente privo di parole.
Bonito realizza un film capace di comunicare evitando le parole, come del resto recita la dedica finale, a chi “mi ha insegnato senza mai dire.” E pone domande pregnanti sul ruolo genitoriale e sul vero significato di famiglia. Madre e padre sono coloro che ci hanno dato la vita, o coloro che ci hanno cresciuto? Un fratello e una sorella che non abbiamo mai visto in vita nostra possono essere davvero un fratello e una sorella, oltre al legame di sangue? La risposta sta, forse, nella scelta di Arminuta, che a quattordici anni capisce da sola che strada prendere per sentirsi a casa. E ora finalmente, anche per chi le vuole bene, sarà più facile trovare il coraggio e tuffarsi in mezzo alle onde del mare.
Tratto dal romanzo bestseller di Donatella Di Pietrantonio vincitore del Premio Campiello 2017. Estate 1975. Una ragazzina di tredici anni viene restituita alla famiglia cui non sapeva di appartenere. All’improvviso perde tutto della sua vita precedente: una casa confortevole e l’affetto esclusivo riservato a chi è figlio unico venendo catapultata in un mondo estraneo.