I titoli di testa con un’animazione sui toni del rosa e dell’arancio, poi la sequenza dell’oculista che cambia la gradazione degli occhiali di una bambina, sei anni circa, che è lì con la sua tata, una donna - veniamo a sapere poi - capoverdiana. Comincia così L’estate di Cléo, secondo lungometraggio (il primo, Party Girl, era una co-regia) di Marie Amachoukeli-Barsacq e film d’apertura della Semaine de la Critique lo scorso anno a Cannes, che trae spunto da un’esperienza autobiografica per raccontare l’amore – assoluto, totale – tra una bimba che ha perso precocemente la madre e la donna che si occupa di lei durante il giorno, mentre il padre lavora. E si dipana con scene di vita quotidiana che portano all’evento chiave: la madre della donna muore e lei deve ritornare al suo paese per accudire i suoi, di figli, un ragazzino che non la vuole riconoscere perché è stato cresciuto dalla nonna e si sente abbandonato, e un’adolescente incinta. La separazione è un trauma per entrambe, tanto che il padre di Cléo promette a Gloria che la porterà lì durante l’estate; e così accade.
Il corpo del film, intervallato da animazioni dinamiche e coinvolgenti dei colori più vari realizzate con due tecniche diverse, che hanno la funzione di anticipare o di commentare gli eventi salienti della trama, narra questo ricongiungimento e si svolge a Capo Verde, isola brulla e ventosa, mare blu e povertà vissuta in modo dignitoso e, ci mostra il film, quasi leggero. Nel senso che c’è lo spazio per il sorriso, e per l’affetto, e per la vicinanza anche quando le cose non vanno come dovrebbero. Cléo arriva e viene accolta da quegli abbracci e da quella vicinanza (fisica, meravigliosa) che ben conosce, ma si trova al centro della gelosia di Nanda, la figlia maggiore di Gloria, e soprattutto di César, il ragazzino, che vorrebbe che ritornasse da dov’è venuta. La nascita del bimbo di Nanda, una persona in più di cui occuparsi, rende a sua volta Cléo gelosa delle attenzioni che Gloria gli riserva, tanto che gli augura la morte e che, nel colmo della tristezza e della rabbia che si trova a vivere nonostante l’affetto che Gloria continua a manifestarle, compie nel finale, istintivamente, un gesto di ribellione che le fa rischiare di morire. Gloria comunque c’è e l’addio, alla fine dell’estate, in aeroporto, è doloroso per entrambe; ma fa anche parte della crescita di Cléo e della ritrovata indipendenza della donna, che può dedicarsi ai suoi cari nella sua terra, riuscendo anche ad emanciparsi economicamente.
Il percorso, tuttavia, più rilevante è quello di Cléo, che rompe la simbiosi affettiva e si avvia ad un nuovo anno con un’altra baby-sitter, come le anticipa al telefono il padre. Il film è a misura di bambino e il punto di vista è infatti quello di Cléo, che sente, guarda, osserva (il mondo, le persone, la nuova realtà in cui è immersa) con i suoi occhi da miope, usando tutti i sensi, in un film che si può definire sensoriale. E in effetti lo spettatore è trasportato nella realtà che Cléo vive e la vive a sua volta, dal di dentro, per come la vive lei: i piani sono ravvicinati, i personaggi sono accarezzati da una macchina da presa mobile, fluida, che li scruta con sguardo attento ed amorevole. L’affetto tra la donna e la bambina (Ilça Moreno Zego e Louise Mauroy-Panzani, strepitose) arriva tutto e anche quello che Gloria ha per i figli e per il nipote appena nato, festeggiato dalla sua comunità; come arriva, ed era un preciso intento della regista, l’assurdità di una situazione per cui molte donne provenienti da paesi poveri sono costrette ad accudire i figli degli altri, mentre i propri sono seguiti dalle loro madri o da altri parenti e fanno fatica a riconoscerle, nel momento in cui ritornano. Se ritornano.
Non è quindi un film politico quello di Marie Amachoukeli-Barsacq, che sceglie di raccontare i sentimenti nel modo che abbiamo visto, ma questo tema rimane sullo sfondo ed è emblematico di un mondo, il nostro, in cui lo squilibrio sociale è ancora forte e determina molto più di quello che si possa pensare.
La tata Gloria propone a Cléo, la bambina di sei anni che accudisce, di seguirla a Capo Verde per un'ultima estate insieme. Un’esperienza indimenticabile per imparare a crescere e gettarsi con coraggio nell’incertezza del futuro.