Dopo Omicidio al Cairo, Tarik Saleh torna nella capitale egiziana (almeno narrativamente) con un film di spionaggio che gioca con il genere sottraendo quasi per intero l'azione e affidando la costruzione della tensione in modo pressoché esclusivo alla parola. Saleh - dichiarata persona non grata in Egitto dopo il suo precedente film e per questo costretto a girare in Turchia - persevera nel suo intento di raccontare un paese di cui si sa poco e soprattutto di metterne in luce, pur nella finzione di genere - le oscure trame di potere, i metodi violenti e senza scrupoli applicati dai servizi segreti (gli stessi che hanno in odio anche lui), il controllo e la corruzione.
Questa volta lo fa raccontando dall'interno l'istituzione religiosa chiamata in causa in modo diretto attraverso le pericolose connivenze con il potere politico. Il giovane pescatore Adam viene infatti ammesso con una borsa di studio alla più presitigiosa università islamica del Paese, quella dove si forma la futura classe dirigente religiosa ma quando il Gran Immam muore improvvisamente, il vuoto di potere scatena una guerra silenziosa all'interno dell'istituzione. Il ragazzo, assoldato suo malgrado come talpa da un colonnello dei servizi segreti (cui presta il volto lo stesso Fares Fares protagonista del noir precedente), si trova inaspettatamente a intraprendere un pericoloso cammino di formazione in cui, a rischio della vita stessa, dovrà imparare ad applicare la sua brillante intelligenza per sopravvivere.
All'interno del grande palazzo dell'accademia inquadrato spesso dall'alto a incombere sulle figurine che si spostano nel del grande chiostro, il potere viene infatti gestito dai gruppi dei vari sceicchi che, imponendo una disciplina rigidissima, raccolgono intorno a sé studenti che sono vassalli e servitori oltre che fedeli sostenitori. Proprio tra questi gruppi, più o meno allineati con il potere politico, si gioca la partita per l'elezione del futuro immam; una partita in cui è appunto la parola a dettare le regole e a dare il ritmo al film. La parola con la sua forza e il suo potere di convincimento, quello che gli sudenti imparano ascoltando le orazioni degli sceicchi e affrontandosi come se si trattasse di una battle di rap in cui alle barre si sostituiscono i versi del corano. È la stessa spy story di Saleh a prendere quel ritmo che di quadro in quadro costruisce, botta e risposta, la sfida lanciata dal lato oscuro del potere ad Adam. Al ragazzo non resta che finire stritolato oppure apprendere la potente arma che ha nelle sue mani: la manipolazione attraverso la parola.
Ne viene fuori un film curioso per l'intuizione di calare il noir in un contesto affascinante e misconosciuto, non banale per come costruisce la tensione dilatando i tempi e insistendo sulla ripetizione, deciso per come sceglie di mettere in scena senza mezzi termini i sistemi coercitivi applicati (e che non può fare a meno di riportarci alla mente la sorte toccata a Giulio Regeni proprio in quel paese). Paga forse lo scotto di un eccesso di controllo e di una necessità di spiegazione che appesantisce un racconto dalle dinamiche non sempre immediate ma che ha il merito di ricercare una formula d'antan capace di mescolare genere e impegno civile riaggiornandola a una contemporaneità politica connotata da contraddizioni spinose e inquietanti.
La morte del Grande Imam durante il discorso di benvenuto a un gruppo di studenti della rinomata università del Cairo, quella di Al- Azhar, dà inizio a una lotta senza esclusione di colpi per influenzare coloro che dovranno prendere il suo posto. Adam, un ragazzo di provincia da poco arrivato in città, finirà nel bel mezzo di questi scontri e di questi giochi di potere, dopo che un suo compagno di studi viene rinvenuto morto nel cortile dell'università.