«Per capire la danza è necessario sapere da dove essa viene e dove va. Viene dalle profondità della natura interiore dell’uomo, l’inconscio, dove risiede la memoria. Come tale vive anche nel danzatore ed entra nell’esperienza dell’uomo, lo spettatore, risvegliando sensazioni analoghe».
Sono parole di Martha Graham, che indicano come la danza sia innanzitutto movimento interiore; dal centro del corpo (secondo Isadora Duncan, il plesso solare) si espande nello spazio circostante seguendo il ritmo di una musica, ma anche le suggestioni del silenzio o i suoni della natura. Mentre Pina Bausch, per citare un’altra icona della danza contemporanea, era solita dire: «Non m’interessa come i danzatori si muovono, ma che cosa li fa muovere», spiegando che i ballerini erano portati a «essere radicalmente se stessi» per cui ciò che si vede negli spettacoli non è coreografia, ma un patrimonio umano che giunge dai cuori, dall’esperienza e da una somma di conoscenze.
Questi riferimenti aiutano a introdurre l’ultimo film di Cédric Klapisch, La vita è una danza, e il significato che il regista, coadiuvato in sceneggiatura da Santiago Amigorena e per la parte danzata da Hofesh Shechter, coreografo israeliano di stanza a Londra tra i più importanti nel panorama della danza contemporanea mondiale (che con Thomas Bangalter, ex Daft Punk, firma anche le musiche del film), ha voluto attribuirgli a partire dal titolo originale, En corps, cioè «nel corpo» ma anche «in corpo», nel senso di dentro al corpo, nell’intimo, nel profondo di se stessi... Perché Élise, la protagonista, meravigliosamente interpretata dall’étoile del Balletto dell’Opéra di Parigi Marion Barbeau, è questo che deve fare: riprendersi in mano, ricostruirsi, contattando la propria parte più profonda per capire cosa vuole e chi è davvero; passando dalla leggerezza aerea del classico, in cui i ballerini sembrano volare sulle punte, all’ancoraggio alla terra che la danza contemporanea presenta, dove la terra è istinto, immediatezza, visceralità. Conoscenza di sé.
Il film comincia con una sequenza di danza, quasi senza parole ma comunque narrativa, che vede la protagonista dietro le quinte del Théatre du Chatelet e poi in scena ne La Bayadère dopo essersi resa conto, in pochi istanti, che il suo ragazzo la tradisce, cosa che la porta a cadere sul palcoscenico e a infortunarsi gravemente, con il rischio di doversi fermare per due anni e dover lasciare, di fatto, la danza. È così che, dopo vari passaggi e le prime amorevoli cure di un fisioterapista, parte con un’amica e con il suo compagno cuoco per la Bretagna, aiutando i due a preparare i pasti per gli artisti di volta in volta ospitati in una residenza ed entrando in contatto, in quel luogo sereno inserito in un contesto naturale, con i ballerini della compagnia di Shechter, che le faranno riscoprire il piacere della danza a partire dalla decostruzione delle movenze del balletto classico all’insegna, appunto, della gioia. E della terra, come si diceva; della carne, del sangue; dei colori, degli odori, dei sapori ma anche del sentimento e della passione: vita, umanità, emozioni.
È questo ciò che rimane del film di Klapisch, che Shechter ha definito come una lettera d'amore del suo regista (già legato al mondo del balletto: si vedano Aurélie Dupont. L'espace d'un instant, Dire Merci e le riprese di alcuni spettacoli dell’Opéra Garnier) alla danza e ai ballerini: la possibilità di superare gli imprevisti, gli infortuni, le avversità (come i lutti, nella figura della madre di Élise che muore giovane, dopo aver introdotto la figlia alla danza, o i problemi familiari, qui riassunti nella figura del padre della ragazza) tramite la riscoperta del piacere del corpo, del movimento del corpo, di quel corpo, ancora, che nel caso di Élise è da anni uno strumento di lavoro (e di fatica) e improvvisamente si ferma, ferito. È la gioia della riscoperta a contare, la possibilità di innamorarsi, di nuovo, nel momento in cui la terra, il mare, il vento sferzante hanno guarito la tua anima, insieme a persone che riconosci come affini a te e che sono colme di vita, e di saggezza.
La vita è una danza, lo scorso inverno campione d'incassi in Francia, è prevedibile e addirittura scontato, con quel finale in cui la protagonista esplicita a parole, smaccatamente, l’inizio della sua seconda vita. Eppure è in grado di sorprendere ed emozionare lo spettatore (come quando, all’inizio, il fisioterapista piange per amore, e piange davvero), trasportandolo in un mondo, non solo quello della danza, in cui forse un posto per ritrovare se stessi e per gioire di quello che si ha - e di quello che si è - ancora c’è.
Elise è una promettente ballerina di danza classica che vive a Parigi assieme al fidanzato. La sua vita perfetta viene però sconvolta il giorno in cui scopre che il ragazzo la tradisce e rimedia un brutto infortunio in scena. Il cammino per la guarigione fisica ed emotiva la porta fino in Bretagna, dove il calore dei suoi amici e un nuovo amore la mettono davanti alla possibilità di una rinascita. Armata di tenacia e determinazione, Elise non si lascerà sfuggire l’opportunità.