Dalla fortunatissima pièce Le Prénom di la Patellière e Delaporte (adattata nel 2012 dagli stessi autori per il film omonimo, Cena tra amici nella versione italiana), Francesca Archibugi ritaglia trama, battute e personaggi che poi si diverte a "intingere" in un bagno di colore tutto italiano.
Cinque sono i caratteri che compongono il coro capitolino al centro della pellicola, altrettanti i tipi nostrani, sondati dallo sguardo caustico e mobilissimo della macchina da presa e facilmente posizionabili su uno scacchiere politico dai confini in realtà sempre più labili.
La lotta senza esclusione di colpi ingaggiata dai nostri, a partire dalla scelta del nome da dare a un nascituro (Benito come Mussolini?), si consuma fra le mura di un elegante e fintamente trascurato appartamento romano, durante una cena fra gli amici di una vita, che fa pensare a La terrazza di Scola e al recente Ritorno a L'Avana di Cantet, o alla claustrofobia del Carnage di Polanski.
Il bimbo in arrivo porterà l'altisonante cognome Pontecorvo, èlite intellettuale ebrea di sinistra prestata in passato alla politica, a cui appartengono Betta, la padrona di casa (una Golino bella e sfiorita nel ruolo di madre e insegnante fin troppo disponibile), e suo fratello Paolo (Gassmann, spaccone che ha fatto soldi nel settore immobiliare, come certa Destra italiana, in modo spregiudicato, e non dissimula la propria esuberante ricchezza) invitato alla cena insieme alla giovane moglie incinta.
Alla famiglia di Betta e Paolo sono legati da sempre anche Claudio (Papaleo), musicista single in sospetto di omosessualità, i cui studi erano addirittura stati sovvenzionati dai genitori degli amici, e Sandro (Lo Cascio), che ha sempre frequentato casa Pontecorvo e poi ne è diventato parte sposando Betta. Nei panni un po' consunti, ma comunque di cachemire, dell'intellettuale tutto compreso nel suo ruolo di saggista, le cui copie invendute giacciono in un angolo della casa, vittima della compulsività dei propri tweet e del proprio narcisismo, Sandro sferra facili colpi bassi a Simona (Micaela Ramazzotti), giovane e splendida moglie del cognato Paolo, la quale dalla periferia un po' cafona di Palocco è entrata nel mondo della tv sportiva per poi approdare all'editoria con la pubblicazione di un romanzo pruriginoso di successo.
L'estraneità di Simona alle contraddizioni e ipocrisie di questo mondo è denunciata dal suo essere spesso fuori campo o inquadrata sulla terrazza, oltre la porta-finestra del salotto, a latere rispetto al flusso di coscienza e agli assoli dei presenti, nonché alla loro nostalgica esibizione canora (Telefonami tra vent'anni di Dalla). Gli altri personaggi vivono invece da sempre nell'aura dei Pontecorvo, e proprio i flashback delle estati trascorse insieme dai protagonisti ancora ragazzi nella grande villa al mare della famiglia instaurano e contemporaneamente fanno emergere quei rapporti di forza poi rinfacciati ed esasperati durante la cena.
Come in quasi tutti i film della Archibugi, non mancano i bambini (invece quasi invisibili nell'originale francese), il cui sguardo, significativamente dall'alto, è affidato alla piccola videocamera di un elicottero radiocomandato che sorvola le litigate dei grandi e le loro espressioni attonite e infastidite dalla semplice e giocosa saggezza dei piccoli. Bambini irriducibili alle diatribe pseudo-intellettuali dei grandi (?) tanto che, persino nel momento in cui vengono al mondo, sono in grado di tirare il più dispettoso degli scherzi.
Potrebbe essere la solita cena allegra tra amici che si frequentano e si sfottono da quando erano bambini, e invece una domanda semplice sul nome del figlio che Paolo e Simona stanno per avere induce a una discussione che porterà a sconvolgere una serata serena.