Tratto dal romanzo premio Pulitzer di Colson Whitehead pubblicato nel 2019, Nickel Boys è l’ambizioso esordio nella fiction di RaMell Ross, fotografo e apprezzato documentarista di Hale County This Morning, This Evening, che nel 2019 fu candidato all’Oscar. Anche Nickel Boys è candidato all’Oscar (come miglior film e per la sceneggiatura non originale), oltre a essere riecheggiato costantemente in tutte le classifiche delle maggiori riviste estere sui migliori film dello scorso anno. La storia segue piuttosto fedelmente quella del romanzo di Whitehead: Elwood (Ethan Herisse) è un adolescente afroamericano molto dotato che vive nella Florida della segregazione razziale dei primi anni Sessanta. Mentre si reca a tentare di scrivere il suo comunque impervio futuro nel college nero nel quale è stato accettato su imbeccata del suo insegnante, accetta un passaggio dalla macchina sbagliata, appena rubata, e viene condotto alla Nickel Academy, un riformatorio ricalcato sulla famigerata Dozier School for Boys, aperta fino al 2011 nel nord della Florida. Qui condivide il suo percorso di redenzione per un crimine mai commesso, il lavoro e la brutalità delle punizioni con un coetaneo, Trevor.
Malgrado l’ancora esiguo pedigree, nelle abili mani – bisogna dirlo subito – di Ross, Nickel Boys non si trasforma nella consueta (narrativamente), anche se necessaria (politicamente), storia di denuncia della condizione afroamericana cui tendeva comunque il romanzo di Whitehead, ma si premura di attirare l’attenzione fin da subito sulla modalità linguistica attraverso cui intende raggiungere l’obiettivo. Sia che la cinepresa sia piazzata sulla spalla dell’operatore, sia che venga montata con un Body rig sull’attore, il film persegue una logica rigidamente soggettiva. È principalmente il punto di vista di Elwood, con l’aggiunta in misura minore di quello dell’amico Turner, a illustrare l’incubo narrato, un punto di vista che non è semplice inclinazione accentrante, ma fonte primaria di visione: la macchina da presa materializza uno sguardo puro, relegando il soggetto (che vede) fuoricampo, al di fuori di una narrazione che lo comprende, con cui interagisce ma da cui è marginalizzato proprio per il suo ruolo di recluso in un riformatorio spersonalizzante e claustrofobico.
Whitehead narrava attraverso una prospettiva esterna, in terza persona; Ross parte da ciò che lo scrittore due volte premio Pulitzer (l’altro per La ferrovia sotterranea) non aveva raccontato esplicitamente, usando ciò che riteneva scontato, per illustrare un intero universo, materializzato nella dimensione prospettica di chi vi ci si trova intrappolato. L’inferenza di un lettore interessato che, una volta spinto a dover adattare e poi dirigere il film, ha creato il suo personale fantasma inconscio tradotto in uno sguardo catalizzante, reso plasticamente fluido per attirare l’attenzione del pubblico. L’intenzione palese di Ross, che già nel suo documentario d’esordio aveva mostrato una certa sensibilità verso la sperimentazione delle forme, è di concepire una sorta di trattato sulla visione e sulla modalità con cui essa si relaziona a un mondo avvertito come estraneo. Questo tentativo di avvicinarsi all'esperienza sensoriale della soggettività condivisa tra Elwood e Turner delimita uno spazio vicendevole e solidale, che si isola dall’esterno per sopravvivere, ponendo una barriera tra sé, gli altri e l’altrove inospitale e crudele. La comune soggettività di Elwood e Turner è di grado diverso (più rodata quella di Turner, in via di prima formazione quella di Elwood) ed è il metro quasi esclusivo scambiato con il pubblico per partecipare della loro esperienza nella realtà circostante, esplorandola.
Ross chiama questa disposizione di sguardo «prospettiva senziente», la sua volontà è di far conoscere i ragazzi attraverso la loro osservazione, colmando il divario tra spettatore e personaggio, permettendo al primo di oltrepassare la soglia finzionale grazie al secondo. Contemporaneamente rimuovendo il trauma, perché la violenza è solo supposta, relegata fuoricampo, mai esplicitata. Immagini adiacenti, dettagli ingranditi fino all’occupazione iperrealistica dell’intera inquadratura o prese dal contesto documentaristico caro a Ross e utilizzate come esplicitazione espressionistica del trauma patito, in modo da riempire gli spazi interstiziali del tempo traducendo il vuoto dell’attesa e il lancinante momento del dolore.
Sul piano stilistico e spettacolare, soprattutto per quanto riguarda la cura di ogni singola inquadratura, la scelta indubbiamente paga, grazie anche al lavoro del direttore della fotografia Jomo Fray, capace di creare tonalità sinestetiche di intensità e calore. Che si attui effettivamente uno scambio emotivo con il pubblico grazie alla soggettività dei personaggi è invece pratica che appartiene solo all’idealità delle dichiarazioni programmatiche. Senza ricorrere a tutta la lunga lista di teoria che nel passato si è occupata dell’argomento: se vedere può significare comprendere, attraverso l’unicità dello sguardo può davvero passare l’afflato emotivo? Senza lo scambio che solitamente si realizza con il necessario controcampo, in questo caso il piano su colui che osserva e registra il mondo, ignorando quindi l’intera cartografia di sentimenti e reazioni del personaggio, è sempre difficile attivare la componente passionale nel pubblico e il rischio è di confrontarsi con un’operazione esclusivamente intellettuale, puramente estetica. Il punto di vista di Elwood e Turner si immobilizza in un’esteriorità concettuale, di fatto si autoesclude in un’assenza rispetto al mondo che pur esplora: basterebbe vedere, per rendersene conto, la scena in cui la nonna di Elwood chiede notizie del nipote a Turner, che la osserva. Dialogo verso la macchina da presa che pare quasi un monologo, risposte scarne, monosillabiche del giovane interlocutore di cui è necessario indovinare l’atteggiamento, abbraccio alla donna che è un ritorno indietro ai meccanismi di meraviglia del dispositivo delle origini. L’identificazione corre il serio rischio di essere solo spaziale e la visione imposta, non partecipata, è allestita per dirci molto del mondo intorno, non a collocarci all’interno di esso.
Florida, 1962. Elwood Curtis è un ottimo studente liceale che è stato accettato ad un corso avanzato presso un college. Mentre si reca al college accetta un passaggio da uno sconosciuto che si rivela un ladro d'auto e viene fermato dalla polizia. Siccome è un ragazzo di colore non gli viene dato modo di discolparsi: Elwood viene spedito alla Nickel Academy, un riformatorio dove i metodi educativi consistono nel riempire di botte chiunque non si sottometta alle regole del direttore. Per fortuna il ragazzo fa amicizia con Turner, un ragazzo di strada con cui stringerà un legame profondo.