Roth lo chiama “il terrore dell’imprevisto”, il senso che non calcoli, lo sviluppo che non prevedi, “quello che - scrive in Il complotto contro l’America - la scienza della storia nasconde, trasformando un disastro in un’epopea”. Errol Morris lo dice a suo modo in uno dei rari momenti di The Unknown Known in cui interrompe il suo protagonista Donald Rumsfeld, l’ex Segretario della Difesa americana ai tempi dell’invasione dell’Iraq: se la Storia fosse un tragedia di Shakespeare, con grandi personalità che si scontrano e lotte di destini, tutto sarebbe più facile, ci sarebbero colpe da attribuire, catene di eventi da ricomporre, anello dopo anello.
E invece ci sono solo fatti. Fatti isolati, frammenti di presente da ricollocare nel passato a cui appartengono, memorandum che creano un archivio gigantesco ma confuso come una sfera di vetro piena di fiocchi di neve. Tutto ruota, tutto cade, niente produce senso. Lo fa capire il legnosissimo Rumsfeld, che individuare colpe è impossibile: colpe per l’11 settembre, per una guerra fondata su prove inesistenti, per torture mai autorizzate eppure commesse. E forse ha ragione lui: lo stesso Morris sembra accorgersene, dal momento che non gli fa le domande che andrebbero fatte, non lo distrugge come meriterebbe, non mette alle strette la maschera di sarcasmo che l’ex collaboratore di Nixon, l’ex consigliere di Ford, l’avversario di Bush padre, il volto western alla caccia di pistole fumanti, utilizza per raccontare la sua versione dei fatti.
Ma come tutti gli uomini di potere addormentati dalla falsa coscienza, così intento, da sempre, a blindare pensiero e convinzioni dietro risposte da vaccaro in conferenza stampa, sorrisi stupidi o arroganti, Rumsfeld si dimentica di controllare il silenzio; abituato a fuggire le domande scomode, quando Morris sceglie di restare su di lui, e per una volta interrompe l’incalzante didattica spettacolare del suo documentario, Rumsfeld non sa che fare, si arrende inconsapevole al potere dello sguardo, sorride ebete e si distrugge da sé, dimenticando che, sì, la Storia non ha colpe perché troppi i fatti e troppe le cause, ma anche che esiste un ordine deciso dagli uomini, che esiste un potere affidato dagli elettori ad alcune persone, e che tra quelle persone c’era lui, non un altro, e che le foto che lo ritraggono con Nixon, Ford, Kissinger, Cheney, Reagan, Bush figlio durante alcuni momenti cruciali – la fuga da Saigon del ’75, l’attacco al Pentagono, la cattura di Saddam, le torture di Abu Ghraib – recitano una sola parola che Rumsfeld non usa mai: responsabilità.
E proprio di questo parla The Unknown Known, della responsabilità del potere, un valore che Rumsfeld affoga nel rifugio vigliacco – per quanto reale – della Storia come palla di vetro, ignorando però di essere già stato sconfitto e smentito, se non dai fatti o dalle prove, dal suo evidente terrore dell’imprevisto.
Un lucido e rigoroso ritratto di Donald Rumsfeld, uno dei grandi architetti della guerra in Iraq. Rumsfeld entra in scena come scrittore/attore della propria vita leggendo una scelta dei suoi “fiocchi di neve”, le decine di migliaia di appunti annotati nel periodo in cui fu membro del Congresso, consigliere di quattro diversi presidenti e per due volte segretario della Difesa. Il Rumsfeld scrittore è deciso, filosofico e amante delle massime e delle regole; il Rumsfeld attore non è meno controllato di quanto lo fosse durante le sue virtuosistiche conferenze stampa a proposito del conflitto iracheno, e altrettanto provocatorio. La sua visione del mondo è imperativa e sicura di sé: “La vera pace può venire soltanto dalla forza militare”.