«Sono convinta di averti inventato», scriveva Sylvia Plath. L'amore come immaginazione, proiezione di un desiderio, creazione e incarnazione di un'idea di lui o lei, capace di completarmi. Non è sempre così, in fondo? E allora immaginate di innamorarvi perdutamente (verso i 40 anni), di incontrare all'improvviso la persona che avevate smesso di cercare, di avere la certezza che, sì, è proprio lui. Cambiate vita e anche Paese, vi presentate all'appuntamento romantico, un mese dopo (al Ponte della Libertà!), ma lui non vi riconosce nemmeno. Trauma.
È questa la premessa da cui parte il film, molto bello, di Lili Horvát, regista ungherese di 38 anni, alla seconda prova (l'esordio nel 2015 con The Wednesday Child). Márta, neurochirurgo di successo in America, torna nella sua Budapest, dopo aver incontrato un medico ungherese a un convegno. E quando scopre di essere stata ingannata, di essersi sbagliata (o l'uno o l'altro), invece di tornare indietro, si trasferisce in quel mondo che non le appartiene più, pur di provare a capire. Un dramma, sì, ma anche un po' thriller. Una storia d'amore e di fantasmi. Un film d'autore raffinatissimo, che risuona kieslowskiano mentre dipana la sua trama hitchcockiana, che riesce ad essere algido e torrido insieme, come un fuoco covato sotto la cenere, pronto a divampare all'improvviso.
Lili Horvát non ha solo una grande sensibilità, ma anche mezzi tecnici notevoli. La sua regia non è mai banale, anche quando si limita a stare addosso alla misteriosa protagonista (Natasa Stork, magnetica, straordinaria personalità) cercando una risposta dentro i suoi occhi azzurrissimi, limpidi, per poi costruire intorno a lei un teorema di riflessi e trasparenze, di apparizioni e metamorfosi, in cui il suo punto di vista finisce spesso per essere deviato o messo in discussione. János, l'uomo di cui si è innamorata, è spesso in bilico tra il campo e il fuoricampo, entra ed esce dallo spazio visivo, diventa reale proprio quando siamo convinti che sia solo un sogno, per poi ritornare nel vuoto in cui Márta rischia di precipitare.
La cornice (meta)narrativa è quella di una seduta psichiatrica, in cui lei prova a ricostruire ciò che sta accadendo (o che è accaduto chissà quando). Una traccia che sembra anticipare la soluzione, salvo poi rivelarsi un'esca, un “trucco” che raddoppia l'incertezza, o meglio, che sancisce la dimensione ontologica di quell'ambiguità. Rimaniamo incerti tra la trama della follia e quella dell'inganno, per nulla convinti dal prefinale che ci precipita in un'ipotesi di happy end. Ed è lì che ci ricordiamo del titolo, Preparativi per stare insieme per un periodo indefinito di tempo, e ci tocca rimanere sospesi, come lei, dentro la felicità che sta in bilico sul baratro, perché l'amore è fatto così.
Marta, una giovane neurochirurga ungherese di fama internazionale, conosce un connazionale in New Jersey durante una conferenza e se ne innamora. Si danno appuntamento a Budapest ma l’uomo non si presenta e quando lei lo incontra per strada, lui la allontana dicendo di non averla mai vista prima...