Jasmila Žbanić

Quo Vadis, Aida?

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Ogni film su Srebrenica è un film importante. Perché assolve il compito di tramandare la memoria e in parte (piccolissima, infinitesimale) di risarcire in qualche modo le vittime e i loro familiari. Lo choc e lo sgomento che il massacro perpetrato nel luglio 1995 suscitano ancora oggi sarebbero ancora più profondi se ne venisse smarrito il ricordo. E come dimostra il poco spazio riservato dai media internazionali alla condanna definitiva all’ergastolo del generale serbo Ratko Mladić – principale responsabile della strage – confermata in appello pochi mesi fa, tenere viva la memoria, e il racconto, di Srebrenica è ogni giorno sempre più fondamentale.

Jasmila Žbanić, che è nata a Sarajevo e ci ha vissuto durante l’assedio, osserva da anni attraverso il suo cinema i segni che la guerra nei Balcani ha lasciato sulla Bosnia di oggi e come la sua generazione (e non solo) continua a fare i conti con un ricordo ancora troppo vivo. Con Quo vadis Aida? però affronta per la prima volta il racconto storico, scegliendo di ricostruire l’evento più rappresentativo e insieme quello più spaventoso dell’intero conflitto. Senza dubbio il più difficile da raccontare.

Il film è ambientato nei giorni successivi al 9 luglio 1995, quando l’esercito serbo guidato da Mladić conquistò la cittadina bosniaca di Srebrenica. Aida, un’insegnante di inglese del liceo cittadino lavora come interprete per i caschi blu dell’Onu e aiuta il contingente olandese, in quel momento a capo della milizia internazionale, a comunicare con i rifugiati che affollano il quartier generale. Al precipitare degli eventi Aida cerca di mettere in salvo la propria famiglia, il marito e i due figli maschi, dai rastrellamenti dell’esercito serbo, che nonostante le rassicurazioni sta assembrando e uccidendo tutti i cittadini maschi fra i 12 e i 77 anni.

La ricostruzione storica nel film è meticolosa, accurata. La regista ha studiato la storia di Srebrenica per tutta la vita e si è documentata per anni su ogni particolare. Se Aida e la sua famiglia sono personaggi di fantasia, ogni altra cosa è descritta esattamente come si è svolta. Come i tentennamenti e l’incapacità degli olandesi di gestire la situazione e la messa in evidenza delle conseguenze catastrofiche dovute al totale fallimento dell’Onu nei Balcani. O come l’arroganza di Mladić e dei suoi attendenti, convinti di poter fare qualsiasi cosa del tutto impunemente. E di quanto in fondo il massacro sia stato soprattutto uno strumento: il modo attraverso cui i serbi hanno dimostrato al mondo che nessuno era in grado di fermarli.

Eppure tutta questa esattezza ed evidenza diventano i limiti principali del film. Davanti a una materia così incandescente come quella che la regista si trova fra le mani, il rischio di confezionare un racconto troppo manicheo, mancante del giusto grado di metaforizzazione e delle necessarie sfumature è altissimo. E Žbanić non sembra riuscire a sottrarsi a un racconto classico in cui l’azione si fonda principalmente un’opposizione fra buoni e cattivi che ricorda il registro di un cinema piuttosto datato o di una buona fiction televisiva.

Ed è un peccato perché le possibilità di costruire, anche attraverso il cinema, la memoria di Srebrenica – soprattutto per mezzo dello sguardo di una regista che è allo stesso tempo anche una testimone – erano (e sono) infinite. Seguendo la lezione lanzmanniana per esempio – e del resto una certa assonanza, anche estetica, con il cinema che ha raccontato la Shoah, il film la esplicita – o magari cercando di marcare maggiormente i rimandi al presente. Niente come la guerra civile nei Balcani – che, è bene ricordarlo, si è combattuta meno di trent’anni fa e solo qualche centinaio di chilometri di distanza dalle nostre case – è in grado di mostrare i pericoli delle derive sovraniste, del suprematismo etnico e delle politiche razziste quando arrivano a gestire il potere. E niente ci mette allo stesso modo di fronte alla fragilità dei sistemi sovranazionali, della democrazia e dell’idea di pace faticosamente costruita nella seconda parte del Novecento.

Per questi motivi, nonostante tutto, Quo vadis Aida? è un film importante. E per questi motivi soprattutto quella di Srebrenica è una storia che non bisogna mai smettere di raccontare.

Quo Vadis, Aida?
Bosnia ed Erzegovina/Austria/Romania , 2020, 104’
Titolo originale:
Quo Vadis, Aida?
Regia:
Jasmila Žbanić
Sceneggiatura:
Jasmila Žbanić
Fotografia:
Christine A. Maier
Montaggio:
Jarosław Kamiński
Musica:
Antoni Komasa-Łazarkiewicz
Cast:
Jasna Đuričić, Izudin Bajrović, Boris Isaković, Johan Heldenbergh, Raymond Thiry, Boris Ler, Dino Bajrović, Emir Hadžihafizbegović, Edita Malovčić
Produzione:
Deblokada, Coop99 Filmproduktion, Digital Cube, N279 Entertainment, Razor Film, Extreme Emotions, Indie Prod, Tordenfilm, TRT, ZDF Arte, ORF, BHRT
Distribuzione:
Academy Two

Bosnia, luglio 1995. Aida è un’interprete che lavora alle Nazioni Unite nella cittadina di Srebrenica. Quando l’esercito serbo occupa la città, la sua famiglia è tra le migliaia di cittadini che cercano rifugio nell’accampamento delle Nazioni Unite. Come persona informata sulle trattative, Aida ha accesso a informazioni cruciali per le quali è richiesto il suo ruolo di interprete. Cosa si profila all’orizzonte per la sua famiglia e la sua gente? La salvezza o la morte? Quali passi dovrà intraprendere?