Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher nel loro splendido Futura, in cui intervistano ragazzi di tutta Italia sull’idea del domani, quando arrivano a Genova e chiedono ai giovani se sanno cos’ è successo lì nel 2001 si rendono conto che no, non lo sanno, pur vivendo in quella città. O lo sanno in maniera approssimativa.
E il nostro film, Se fate i bravi di Stefano Collizzolli e Daniele Gaglianone, scritto insieme a Fabio Geda, parte proprio da un gruppo di adolescenti che parlano con Collizzolli, Geda ed Evandro Fornasier di quello che è stato il G8 di Genova ma soprattutto dei sogni, delle utopie, dell’idea di società e di come sia possibile non tanto cambiarla, quanto pensare di cambiarla. Fornasier, che scopriremo essere il protagonista del film, parla in particolare dei sognatori sostenendo che non si pongono il problema del limite, cioè di quello che è possibile e di quello che non lo è, perché, come da citazione di Eraclito a inizio film, “Chi non spera l’insperabile non lo scoprirà”. Lui e gli altri che erano confluiti a Genova in quel luglio del 2001 volevano infatti provare a cambiare il mondo pensando a “qualcosa di grande o di bello” e usando la parola, convinti che servisse a qualcosa, anche se poteva suonare ingenuo o infantile; quello che è successo in quei giorni, dai black bloc che sono stati lasciati agire quasi indisturbati alle cariche delle forze dell’ordine sui manifestanti pacifici, dalla morte di Carlo Giuliani agli orrori della Diaz e di Bolzaneto, la caserma in cui è stato portato anche Fornasier, ha generato una frattura che è difficile ricomporre, mettendo sotto silenzio una generazione. Perché di Genova si è parlato poco e male; o meglio, come dice Fornasier, chi c’era ne ha parlato molto subito dopo ma in modo parziale, tralasciando quello che era più duro da dire perché inammissibile e realmente inaccettabile, e poi non ne ha parlato più. Come se si fosse in presenza di un rimosso collettivo.
In questo film invece Evandro Fornasier, accompagnato dai filmati che Stefano Collizzolli, anche voce narrante, aveva realizzato in quei giorni con una miniDV e non aveva poi più avuto la forza di vedere, prova a parlare del G8 di Genova, vent’anni dopo (il tempo di una generazione, da cui l’inizio con gli adolescenti, e un tempo, soprattutto, sufficiente a sedimentare per poi riprendere in mano); e lo fa in maniera semplice, pacata, distesa, corretta ed incisiva, per la prima volta diretta a qualcuno che vuole davvero ascoltare; dicendo quello che è giusto dire, e che bisogna dire; con la voce spezzata dalla sofferenza che quei ricordi suscitano; ma con la volontà della testimonianza, che è quella di essere utile almeno a capire, se non a comprendere, quello che è successo allora, da persona “spezzata dentro”, come scrive Françoise Sironi nel suo Persecutori e vittime, che non può più essere quella di prima.
E allora forse la cosa più onesta e rispettosa da fare, per noi che ci accostiamo al film, è lasciar parlare lui. Della gioia dell’inizio del soggiorno genovese, quando tutte quelle persone arrivate a Genova per provare a cambiare qualcosa nel mondo davano il senso forte di una possibilità; del “precipitare dentro” che è stato per lui il procedere di quei giorni, precipitare dentro a una bolla in cui era sospesa ogni forma di diritto e di normalità; della “sospensione del pensiero” del giorno in cui è stato ammazzato Giuliani, e non si sapeva, la sera, se procedere con le proteste o lasciare il campo; del “non poter capire”: non poter capire cosa stava succedendo, non poterlo riconoscere con le categorie abituali; dei dubbi, dello “sconcerto”; della “cattura”, termine usato di proposito al posto di “fermo”, perché di quello si è trattato, e del ritrovarsi all’improvviso ad essere considerati dei nemici dell’ordine pubblico; della percezione del proprio corpo, a Bolzaneto e ad Alessandria, come “sequestrato” e “oggetto nelle mani di qualcun altro”; della sensazione di “scollamento” tra sé e il proprio corpo e della perdita dell’idea di futuro, nella notte passata a Bolzaneto; della percezione di aver subito, lui ma non solo lui, un “danno irreversibile”, che è la cosa peggiore che accade “quando si viene toccati dal male”; e del “vuoto pneumatico della mente” per potersi difendere da tutto questo, almeno un poco. “Genova ci ha tolto la parola”, dice alla fine Collizzolli. Ma ha dato anche la spinta, vent’anni dopo, per un film necessario come questo (che segue Un altro mondo è possibile, Carlo Giuliani, ragazzo, Le strade di Genova, The Summit e soprattutto Diaz – Non pulire questo sangue, per citare i più importanti), che prende il titolo dalla frase che un agente penitenziario ha detto a Fornasier e al suo compagno, dopo averli picchiati: “Se fate i bravi non vi succede più niente”, e potete andare a casa.
Sono passati vent’anni da Genova, 2001. Vent’anni è il tempo in cui un neonato diventa una persona: c’è un’intera generazione che è autonoma e presente al nostro tempo, e che allora non era ancora nata. Vent’anni è il tempo in cui un ragazzo diventa adulto, e un adulto anziano. Ci sono due generazioni che hanno attraversato quell’esperienza, in un modo o nell’altro; e che vent’anni dopo non possono considerarla chiusa. Non è chiuso il sogno di Genova 2001, perché i grandi temi di quei giorni – la crescente disuguaglianza, la finanza che accentra le risorse nelle mani dei pochi e precarizza o spiaccica i tanti, la rapina ai danni dell’ambiente, le grandi migrazioni – sono i temi di oggi, solo più urgenti. E non è chiusa la violenza di Genova 2001, perché quella violenza è stata molte volte raccontata, contro-raccontata, celebrata o condannata, ma mai compresa o risolta. Vent’anni è un ciclo di tempo umano, in cui un fatto avvenuto è abbastanza distante da poter essere guardato in prospettiva, con distacco, essere riscoperto e messo in connessione con altri fatti che, quando accadeva, sembravano altri, irrelati. Ed è ancora abbastanza vicino da poter essere presente, da poter parlare al presente, da poter incontrare centinaia di migliaia di persone che portano addosso quell’esperienza, che possono raccontarla, che forse continuano a riviverla. È un tempo giusto, fra storia e biografia, per poterne parlare: per partire da Genova per andare oltre Genova, e per capire cosa Genova significa.