Nato documentarista, Daniele Vicari ha sempre realizzato anche nella fiction film capaci di portare, senza fronzoli e paure, la vita e i fatti sullo schermo. Eppure stavolta, con Sole Cuore Amore, il passo sembra fatto a metà.
La realtà c'è, anche in quest'ultimo lungometraggio. C'è, ingombrante, fastidiosa e monotona, nel vissuto di Eli e Vale, due amiche con quotidianità agli antipodi, capaci di far incontrare i loro percorsi solo saltuariamente, tra problemi e impegni. Eli (Isabella Ragonese), madre di quattro figli, con un marito che si barcamena tra impieghi temporanei, è costretta a fare la barista a due ore da casa. I soldi sono però sempre troppo pochi, mentre la stanchezza si accumula e lei finisce per addormentarsi un po' dove capita. Vale (Eva Grieco) ha lasciato gli studi per fare la ballerina, e la sua vita è invischiata tra locali notturni, relazioni brevi e dubbi sulla propria sessualità, mentre – nonostante l'età adulta – continua a cercare l'approvazione di una madre fin troppo tradizionalista e “bacchettona”.
Due vite normali, semplici, banali, per quanto differenti: questo Vicari sceglie di raccontarci, giocando con forza sulla ripetitività. Significative, in questo senso, le molte scene girate in viaggio, su autobus o treni, mentre Eli fa la spola tra casa e il bar. È un continuo spostamento, anche se sempre uguale; è un continuo passare di vagoni, di ritardi, di attese sulle banchine. E la stazione non può che diventare il luogo prescelto per la fine del percorso, un luogo di morte. Una morte dimessa – come tutta l'esistenza della donna – e silenziosa, che di eroico e melodrammatico non ha praticamente nulla. Stona, perciò, in questo senso, la decisione di “sentimentalizzarla” con un eccessivo uso del fuori fuoco e della colonna sonora (a tratti assordante), e con un parallelismo (forse filosofico?) con la danza di Vale, l'amica-sorella, interconnessa eppure lei per prima incapace di cogliere il malessere.
Da Vicari, forse, sarebbe stato letico aspettarsi, da un lato, che andasse fino in fondo nella rappresentazione della noia quotidiana (perché la vita annoia), lasciando che in quache modo s’impossessasse del film, dall'altro che concedesse ai suoi personaggi anche momenti di svago e di gioia (perché la vita non può essere confinata in uno sguardo sempre all’erta…).
Il risultato di Sole Cuore Amore – che pure cita, anche letteralmente, quando una delle figlie di Eli la canta, una vecchia canzonetta estiva e frivola di Valeria Rossi – è invece completamente epurato dai sorrisi e dai piaceri, e teso in tutti i modi al dramma. Non si sorride con gusto davanti ai bambini, né con gli amici. Si ride di rado, e solo per cause esterne, come una canna fumata sul balcone o un bicchiere di vino di troppo. L'atmosfera è quindi, per tutti i 113 minuti, marcatamente modesta e triste, con il risultato che lo spettatore si sente forzato ad un'empatia drammatica che, paradossalmente, finisce per allontanarlo.
Un'amicizia tra due giovani donne in una città bella e dura come Roma.