Il cinema di Roberto Minervini ha avuto da sempre una componente politica, ben notata da Pier Maria Bocchi a proposito di Stop the pounding heart (Cineforum, 531).
Il suo ultimo film, che scruta il lato oscuro dell’America - “The Other Side” il titolo originale - è il suo più politico (e tra i produttori c’è Dario Zonta, che già aveva prodotto Sacro GRA di Gianfranco Rosi, il cui filo conduttore era lo sguardo su realtà ai margini che, pur circondandoci come un anello autostradale, non guardiamo o evitiamo di guardare). Nella prima parte, Louisiana si concentra sul quotidiano di una coppia tossicodipendente; poi si sofferma su un gruppo paramilitare, e si fa più esplicitamente politico. Ma già nell’indagine che precede era germinata la critica all’attuale amministrazione USA.
Minervini si è imbattuto in persone colme di frustrazione sociale e desiderose di dichiararla: da qui scaturisce buona parte della naturalezza con cui si sono esposte, senza alcuna pudicizia. Disoccupati, abbandonati dalle istituzioni, inebetiti, abbruttiti: in questo contesto fermenta l’ideologia di autodifesa paramilitare. L’orgoglioso attaccamento al valore fondante della libertà può apparire paradossale in un’umanità la cui libertà è ben scarsa (gli spazi di questo film sono una gabbia a cielo aperto, una prigione in cui non sono assicurati nemmeno un letto e un pasto). Ma quando i paramilitari distruggono un’automobile dopo avervi sistemato una maschera di Obama, si capisce che un nemico da cui liberarsi è stato individuato, e, al netto della retorica post-9/11, non è un nemico esterno.
Nell’ambito di un cinema aderente al reale, è sin troppo facile l’accostamento a Below sea level, girato nel 2008 da Gianfranco Rosi a stretto contatto con una comunità di homeless. Ma se nel film di Rosi i dropout si erano autoesclusi dal consesso sociale per libera scelta, trovando una precaria armonia, in Louisiana gli emarginati non lo sono per scelta, e rigurgitano rabbia e frustrazione.
Il cinema di Minervini si sta aprendo alla realtà progressivamente. I primi due film della trilogia texana – The passage e Bassa marea – erano ancora narrativi: pur in un’asciuttezza rigorosa, contemplativa, si scorgeva l’ordito di una trama. Stop the pounding heart era un miracolo di equilibrio fra finzione e realtà, ma ancora con una novelisation. Louisiana è sinora il suo film più puramente descrittivo. Lo sguardo del regista è attento a rimanere impassibile, senza cedere alla pietas; non si preclude nulla, mette in scena senza reticenze anche ciò che appare disturbante. Quanto maggiore è l’intimità fra i personaggi, tanto più si avverte l’attrito fra il bisogno di celare la macchina da presa e l’inevitabilità della sua presenza.
Presupposto indispensabile per la buona riuscita di questo cinema è vivere per mesi nell’ambiente che si è scelto: rendersi parte del contesto, annullando presupposizioni, pregiudizi e pre-visioni. In questo senso, la disponibilità di Minervini è stata talmente estrema da rischiare di eccedere. La ballerina incinta di lap dance che si droga, affiancata alle scene quasi elegiache in cui Mark va a trovare la madre o la nonna, senz’altro corrisponde a quanto Minervini ha osservato, ma il contrasto appare programmatico più di quanto intenda. Altrove, la neutralità dello sguardo è più decisamente centrata, come nell’intimità della coppia protagonista. Di fronte alla loro carnalità animalesca, eppure tenera, Minervini supera ogni barriera. Gli atti sessuali sono ripresi o messi in scena? Il confine tra realtà e finzione è sfondato e dissolto.
Vi sono, sì, momenti dove la messa in scena è palese - il dono dell’anello - o in cui si avverte una sceneggiatura - i discorsi sul carcere e sulla disintossicazione (il film è stato “scritto” durante le riprese, insieme a Denise Ping Lee). Queste ricostruzioni stridono un poco, per quanto siano recitate ammirevolmente e intensamente. Ma in una pellicola che osa molto, e vive di contrasti, probabilmente non è nemmeno un difetto: e di certo non intacca l’importanza, sociale e cinematografica, di questo nuovo esperimento nel percorso artistico di Roberto Minervini.
In un territorio invisibile, ai margini della società, sul confine tra illegalità e anarchia, vive una comunità dolente che tenta di reagire a una minaccia: essere dimenticati dalle istituzioni e vedere calpestati i propri diritti di cittadini.