Kevin Macdonald

The Mauritanian

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Tesi: Mohamedou Ould Salahi è un terrorista corresponsabile delle stragi dell’11 settembre. Antitesi: Mohamedou Ould Salahi è stato detenuto per più di quindici anni a Guantanamo con l’accusa di essere un reclutatore di Al-Qaeda, cosa mai provata. Sintesi: la realizzazione di un film-epitome di denuncia per pubblico generalista, The Mauritanian di Kevin MacDonald, documentarista pluripremiato, poco a suo agio nella ricostruzione finzionale della Storia.

Siamo in Mauritania, due mesi dopo le stragi del 2001: le Twin Towers fumano ancora e c’è un’urgenza di trovare colpevoli. Il presidente Bush e il Segretario della Difesa Rumsfeld sono alla caccia di responsabili da crocifiggere per placare il dolente malumore del popolo americano. Salahi ha un passato ondivago: presto emigrato in Germania, cosmopolita, conoscitore di lingue, volontario nella lotta dei mujaheddin afgani contro l’invasione sovietica, distante da pochi gradi di separazione da Osama Bin Laden in persona. Insomma, il perfetto capro espiatorio. Salahi viene prelevato dalla sua casa in Mauritania, fa brevi soggiorni – non privi di torture – in Giordania e in Afghanistan, entra come prigioniero numero 760 nella nuova prigione di Guantanamo, sulla costa cubana, che l’esercito ha fatto sorgere accanto a un confine mitico – guarnito da filo spinato e cecchini – con l’antico nemico caraibico e comunista, lontano dagli occhi e dalla preoccupazione di una qualsiasi sorveglianza democratica in patria. Per caso fortuito il file finisce sotto gli occhi vigili di un’avvocata di un potente studio di Albuquerque, New Mexico – pasionaria un po’ fuori tempo massimo intrisa di umori anti-Vietnam – che prende a cuore il caso e sceglie di patrocinare il prigioniero senza colpe.

Nella sua prima parte The Mauritanian snocciola il suo ABC di film progressista, si appoggia sulle performance delle due avvocate – una Jodie Foster che cerca di assomigliare a Meryl Streep e Shane Woodley, paracadutata per caso, occhi dolci e tutto, nell’assistenza al prigioniero – affidando al solo Tahar Rahim, che interpreta Salahi con misurazione e sofferenza, il peso implacabile della drammaticità. Ma se la prima parte del film si regge (si appoggia) sulle ingiustizie e sulle ipocrisie delle leggi che ignorano e permettono una sciagura morale come Guantanamo, quando i nodi vengono al pettine – e quando la questione da romantica si fa, o si dovrebbe fare, politica – MacDonald sceglie scorciatoie e mezzucci per portare a casa il risultato.

Debitore del cinema engagée degli anni Settanta, MacDonald sforza e protegge, chiude e apre il suo sguardo – a tempi alterni – all’urgenza del suo racconto. Il montaggio si fa sempre più frenetico; il climax emotivo viene riposto in favore di tecniche narrative piuttosto grossolane; l’innocenza – o, meglio, l’impossibilità di dimostrare la colpevolezza – dell’imputato assumono caratteri esemplari ma mai empatici; il cambio (scenografico) di formato si giustifica con una generale mancanza di idee. Certo: il plot funziona. La pagina di ingiustizia si appalesa e si mostra. La denuncia verso un’immoralità diffusa anche nei luoghi più sacri del potere sconvolge e turba.

Ma in fondo The Mauritanian resta un compitino, un singhiozzo di denuncia che risalta poco nel silenzio assordante di una pagina buia di storia americana. Un grido di ingiustizia che si fa notare come un graffio sulla lavagna, che mostra la sua incapacità di lasciare un segno duraturo, una testimonianza forte, una sacra eredità.

The Mauritanian
Regno Unito, Usa, 2021, 129'
Titolo originale:
The Mauritanian
Regia:
Kevin Macdonald
Sceneggiatura:
Rory Haines, Sohrab Noshirvani, M. B. Traven
Fotografia:
Alwin H. Küchler
Montaggio:
Larry Siems
Musica:
Tom Hodge
Cast:
Jodie Foster, Tahar Rahim, Benedict Cumberbatch, Shailene Woodley, Zachary Levi, Langley Kirkwood, Corey Johnson, Matthew Marsh
Produzione:
Wonder Street, 30West, Bbc Films, Convergent Media, Shadowplay Features, SunnyMarch, Topic Studios
Distribuzione:
Amazon Prime Video

Catturato dal governo degli Stati Uniti, Mohamedou Ould Slahi langue in prigione per anni senza accusa o processo. Perdendo ogni speranza, Slahi trova alleati nell’avvocato difensore Nancy Hollander e nella sua socia Teri Duncan. Insieme affrontano innumerevoli ostacoli in una disperata ricerca della giustizia. La loro controversa difesa, insieme alle prove scoperte dal formidabile procuratore militare, il tenente colonnello Stuart Couch, alla fine rivela una cospirazione scioccante e di vasta portata.

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