Verso la fine di Eden, quando gli anni ’90 sono finiti e il passato è lontano, il protagonista del film, Paul, dj membro con l’amico Stan del duo Cheers, entra in un locale semideserto di Parigi. All’ingresso saluta il buttafuori e passa oltre senza problemi, mentre altri due signori dall’aria casual e anonima hanno qualche difficoltà in più: sarebbero i Daft Punk, quelli veri, Guy-Manuel e Thomas, ma il buttafuori non li riconosce. E come potrebbe altrimenti, visto che nessuno o quasi li ha mai visti?
Una volta dentro, Paul si dirige verso la pista da ballo semideserta seguito dalla macchina da presa. Osserva prima il dj, poi con lo sguardo guarda il resto del locale: la macchina si muove con un carello circolare da destra verso sinistra e riprende il vuoto. È un momento di sospensione, di paradossale silenzio nonostante la musica, in cui il movimento ricalca in maniera simbolica il senso stesso del film: l’assenza su cui si fonda la musica elettronica. La stessa assenza, se non si fosse capito, da cui nasce il successo dei Daft Punk, autori misteriosi di una musica che non appartiene loro, mutuata da altre fonti, cantata da altri, aliena a se stessa.
La musica elettronica è così: musica rifratta, ciò che resta di un suono in assenza di strumentazione, oltre la pratica artigianale, nel segno del riutilizzo, del filtro delle frequenze, della campionatura. Nell’unicità del dj-set, della serata in discoteca, spettacolo artefatto e performance unica, la musica elettronica trova la propria malinconica euforia, è un tiepido e sobrio consumarsi.
Allo stesso modo, le vite dei protagonisti di Eden, film dedicato alla scena french house degli anni ’90, sono malinconiche ed euforiche. In un racconto che parte dal 1992 e prosegue oltre gli anni Duemila, il tempo sembra sempre colto nella sua fugacità e attualità, declinato in un continuo presente, con gli attimi e i ricordi di ciascun personaggio che paiono campionati anch’essi, restituiti con la stessa distanza e la stessa appassionata freddezza con cui si fa musica dietro la consolle di un locale.
Mia Hansen-Løve, che negli anni ’90 era una ragazzina che recitava in Fin août, début septembre di Assayas, il suo quarto film l’ha scritto insieme al fratello Sven, ex dj e più grande di lei di qualche anno, ripercorrendo la loro comune biografia e cercando di cogliere il senso di un periodo storico e di un clima musicale che non hanno nulla di ruggente, nulla di mitico o di perduto, ma sono semplicemente anni di vita vissuta fino in fondo e assaporata nella sua essenza. Inevitabilmente, dunque, Eden è un film sulla fine della storia che si percepiva nel mondo degli anni ’90, e pur senza essere un racconto a mosaico – nonostante i tanti personaggi che si incrociano fra Parigi, New York e Chicago, in una lunga stagione di successi ed eccessi, di amori e di droghe – costruisce la Storia attraverso la molteplicità delle storie, con l’impressionismo dei sentimenti e dei corpi tipico del cinema francese (con il modello di Assayas ben in mente) che coglie la frammentarietà e l’unicità delle parole e dei gesti dei personaggi.
Il racconto procede a strappi, toglie il superfluo per lasciare l’essenziale, vive della propria infinitesima bellezza. A un certo punto, un uccello passa in volo in forma animata e stilizzata, come un’apparizione fugace. E come molti altri momenti del film (tra cui una bellissima scena al PS1 del MoMA di New York, con un dj set affollato e selvaggio, ma raccontato come un momento di calma estasi del protagonista) racchiude la bellezza di un’idea in tutta la sua rapidità, la guarda passare e la lascia scivolare via.
A contare, in fondo, in un dj set come nella vita, sono la ritmica interiore, sono i battiti, gli attimi, e tutto ciò che puoi costruirci sopra. Vivere significa non pensare, e poi ricordare. E ciò resta della vita vissuta è sempre qualcosa di perduto e insieme qualcosa di recuperato. È un frammento, come un volto, una parola, un suono, che messo insieme a tanti altri campiona un’idea di passato.
Gli anni 90 segnano l’affermarsi irresistibile della musica elettronica francese. Nelle eccitanti notti parigine Paul muove i suoi primi passi come DJ amante della musica house. Eden ripercorre i passi del “French Touch” dal 1992 a oggi, rievocando una generazione che è stata in grado di riscrivere le regole della musica dance grazie a musicisti come i Daft Punk, Dimitri from Paris, Cassius e Alex Gopher.