La Rumeur non è più solo un gruppo hip-hop dal sound hardcore e dall'anima kombat. Affacciatisi sulla scena cinematografica nel 2017 con il film d'esordio Les Derniers Parisiens, firmato da Hamé Bourokba e Ekoué Labitey (un notevole noir con Reda Kateb che cercava di diventare il boss delle notti di Pigalle), tornano ora con l’omonima casa di produzione a sostenere un altro esordio, quello di Sarah Marx.
L'Enkas è infatti un'opera prima che la regista ha scritto insieme ai due immergendosi completamente in quello che è il loro immaginario di riferimento. Un mondo urbano dove la vera protagonista è una Parigi tutt'altro che da cartolina, una città “vera” dove la patina romantica altamente cinematografica che tutti conosciamo lascia il posto alla ruvidezza della vita di quartiere, alle difficoltà, alla smania di emergere. Non la banlieu dove il disagio e la marginalità sono la regola, ma una città "normale", quella che una volta si sarebbe detta proletaria (ma oggi che senso ha assunto davvero questa parola?), dove la vita scorre per tutti cercando di arrivare a fine mese, tra imprevisti, criticità e piccole speranze. Una città dove, in fondo, basta poco per vacillare e ritrovarsi al di là del limite che separa la legalità dall'illegalità.
Questo è anche lo sfondo sociale di L'Enkas presentato nella sezione Orizzonti. Il giovane Ulysse (Sandor Funtek), appena uscito dal carcere dove è finito per piccoli reati legati alla droga, si ritrova fuori investito dai problemi: la madre (Sandrine Bonnaire) affetta da una grave depressione, l’ex fidanzata che si è occupata della donna durante la sua assenza e ora reclama un indennizzo, i medici che con fatica cercando di tenere Gabrielle in terapia e l’amico David insieme al quale spera di svoltare grazie a un food-track da portare ai rave per somministrare cibo, bevande e insieme qualche dose di ketamina.
Un film limpido e scritto bene L'Enkas, non particolarmente sorprendente forse, ma ancorato con sicurezza a un sostrato che ha la sua forza nella diretta conoscenza di quello di cui si parla, nell’esperienza, nel controllo della materia, nella consapevolezza e nella volontà di sfrondare gli orpelli per andare al sodo. E il sodo è la vita, quella “normale” in cui nessuno ha mai la strada facile né la risposta davvero giusta, quella in cui si continua ad andare avanti sperando di trovare una soluzione. Un reale che forse, a saperlo raccontare e mettere in scena, può dare ancora un senso all’idea di un cinema sociale quello che La Rumeur cerca di reinventare con un forte senso della contemporaneità e una coerenza intellettuale che sono senza dubbio un prezioso punto di partenza.