Uno dei grandi pregi del cinema di Kiyoshi Kurosawa è quello di non essere mai uguale a se stesso. Nonostante una carriera lunga e a dispetto del marchio di regista di genere (soprattutto horror) che lo etichetta, Kurosawa è un autore che non smette mai di sperimentare, guardare avanti, ricercare nuove forme di sguardo, espressione e racconto. Con Wife of a Spy si dedica per la prima volta a un’opera storica, ma sfrutta l’occasione anche per provare – fra i primi al mondo – la nuovissima tecnologia 8K. Gira quindi con una camera digitale ad altissima definizione riuscendo a creare, grazie al contrasto fra l’ambientazione d’epoca e tecnica moderna, quella che lui stesso definisce «un’opera d’arte in movimento».
E lo è per davvero un film in movimento Wife of a Spy. Un racconto che si muove lungo una direttrice che non designa solo una storia, ma un vero e proprio spaccato temporale ribaltandone continuamente la prospettiva. La vicenda – ambientata a Kobe nel 1940 e ispirata a fatti e personaggi reali – è una spy story con al centro marito e moglie, Yusaku e Satoko, agiati mercanti con molti clienti stranieri e uno stile di vita occidentale. Resisi conto della scomoda e autoritaria posizione del Giappone nella seconda guerra mondiale appena scoppiata, i due decidono di passare alla comunità internazionale le prove dei crimini e delle barbarie compiute dall’esercito imperiale giapponese in Manciuria, con l’intento di spingere gli Stati Uniti all’intervento bellico.
Ma non è tutto qui. Dentro l’impianto piuttosto classico dello spy movie, in cui come in un gioco a scatole cinesi ogni situazione nasconde un twist inaspettato, si celano venature mélo e da dramma storico. Mentre i personaggi echeggiano quelli del grande cinema giapponese degli anni Quaranta – che il regista cita in modo esplicito – soprattutto Kenji Mizoguchi e Sadao Yamanaka. E non è un caso che i due protagonisti si dilettino anche con il cinema: un film noir che Yusaku dirige e Satoko interpreta come attrice principale, richiama infatti – nelle dinamiche dell’azione – le vicende dei personaggi. Ma la pellicola, intesa come oggetto di scambio e prova incriminante, è – nella più tipica tradizione dei film di spionaggio – a sua volta al centro della storia.
E anche della Storia, la vera protagonista del film. Quella dalla cui giusta parte, sembra dirci il regista, si deve provare a stare nonostante tutto. E in questo il personaggio di Satoko – messo in risalto anche dal titolo – è quello che compie il percorso più arduo. A differenza del marito, sin da subito convinto dello sconsiderato posizionamento del proprio paese al fianco di Germania e Italia sul fronte bellico, la donna affronta un duro percorso personale ed emotivo prima di capire quale parte scegliere. E, di nuovo, per mezzo della verità delle immagini filmiche, vera forza centrifuga e dispositivo in grado di cambiare la Storia.
Non il più originale dei messaggi, forse. E nemmeno una riflessione troppo complessa sulla memoria, l’eredità storica e le colpe del proprio paese, ma in fondo quanto basta per rendere Wife of a Spy un film affascinante, in cui gli aspetti formali, come la messinscena e le raffinate scenografie, emergono sopra a tutto il resto. La ricostruzione meticolosa, l’uso degli ambienti e la fotografia, oltre alla tecnologia 8K, restituiscono le atmosfere del cinema dei maestri giapponesi citati, ma anche dei modelli del noir classico americano, in una commistione che fa del film un’opera che si muove, come si diceva, e resta in transizione. Come un passaggio di tempo, una memoria che riaffiora, una storia sospesa.