Per Lucio è un documentario molto bello sull'Italia che cambia, da una società ancora contadina, nel dopoguerra, anche in città come Bologna a un'identità postindustriale indistinta e azzerata, l'Italia delle migrazioni interne, delle fabbriche, le lotte operaie, i sindacati, gli Avvocati e le delocalizzazioni industriali, le manifestazioni studentesche, gli attentati, le bombe nelle stazioni, la gente, tanta gente, facce, corpi, parole, sorrisi, un'umanità bellissima osservata con affetto e rigore. Collezionata da Pietro Marcello attraverso una ricerca certosina su archivi pubblici e home movies privati. E tenuta insieme, "cucita" attraverso la musica e le parole di Lucio Dalla, genio irrequieto che con le sue canzoni ha accompagnato e alla sua maniera materializzato sentimenti collettivi.
Lucio Dalla che da bambino era carino e si divertiva a mascherarsi ed esibirsi vestito da torero, che crescendo si era imbruttito e per un po' non si preoccupò del vestire ma poi con quei gilet divenne quasi un dandy, che incontrò il poeta Roberto Roversi e insieme a lui fece dei capolavori, che continuava a prendere treni, ad andare e venire, ma anche a comprare case su case, non solo a Bologna, come se queste potessero fermarlo. Alla sua maniera specchio e traduttore in musica e parole dei mutamenti e, spesso, dei traumi di cinquant'anni di vita nazionale, dagli anni 60 al primo decennio del 2000, Lucio Dalla è il filo narrante su cui l'autore costruisce il suo documentario sull'Italia della seconda metà del 900. Il protagonista di una storia anche sua, ma non di tutta la sua storia. Infatti, del suo "narratore" Pietro Marcello privilegia quegli aspetti e quelle musiche che si attagliano di più al suo racconto collettivo: brani fondamentali, come Itaca, Mambo, La canzone di Orlando, L'intervista con l'avvocato, Balla balla ballerino, Futura, La borsa valori, Com'è profondo il mare, Mille miglia, che accompagna uno dei momenti più intensi e forti del film, il lungo montaggio del passaggio della celebre corsa attraverso le città. C'è un accenno di 4/3/1943 (ineludibile, non fosse altro che per la notevole presenza della mamma di Dalla, live con Mago Zurlì allo Zecchino d'oro, ma poi sempre aleggiante nella storia del figlio), ma mancano grandi pezzi, non a caso, forse, più "privati", come Piazza Grande, Caruso, Camion, L'anno che verrà, Anna e Marco, La sera dei miracoli, Cara, Canzone.
Ma Pietro Marcello è un autore e sceglie il materiale che sente di più, quello che gli consente anche di rispecchiarsi nel suo soggetto (come quando, con Il parco della luna, appaiono Enzo e Mary, i protagonisti di La bocca del lupo). Eppure, tra il Dalla che fa un dibattito in tv sugli euromissili con Craxi, Arbasino e Strehler, quello che canta per gli operai e quello che risponde sornione alle domande dirette degli intervistatori, qualcosa ci manca, forse un grimaldello per capire un po' di più di quel poeta inafferrabile che sembra avere sempre la valigia in mano, e passare di treno in treno. Meno male che alcune chiavi di lettura, privatissime, anedottiche, a volte criptiche, ce le offrono due signori seduti in una trattoria bolognese per un pranzo completissimo, dalle tagliatelle al ragù fino al creme caramel: Umberto Righi, detto Tobia, il manager del cantante, e Stefano Bonaga, cresciuto con lui. Due amici di sempre, che mangiano, fumano (Bonaga) e parlano di lui, curiosamente, al presente, perché di Lucio tra gli amici si parla sempre al presente. Sprazzi di un'anima surreale, di un metodo non metodico, di un sedotto-seduttore, di uno che scappò per sempre ritornare, di un autore impegnato ma anche di un socievole eccentrico. Sprazzi di Lucio e di Bologna (che sono tutto sommato abbastanza inscindibili). Quasi il controcanto personale, quello di Tobia e di Bonaga, di un affresco più complesso e ambizioso. All'interno del quale, però, fa molto piacere trovare questi intervalli di quotidianità, questi echi di amicizia, questi frammenti di Lucio.