Dopo due anni di pandemia e due documentari – Per Lucio e Futura, co-firmato con Francesco Munzi e Alice Rohrwacher – Pietro Marcello torna al cinema più suo, quello in cui i confini tra realtà e finzione, tra archivio e messa in scena, tra genere e generi sono labili e confusi, spesso irrintracciabili. Sospinto dalle Vele scarlatte, romanzo omonimo scritto Aleksandr Grin nel 1917 in pieno periodo rivoluzionario russo, Pietro Marcello crea un collage capace di evocare, non solo una fiaba, ma un mondo. Un mondo in via di rapido cambiamento in cui è difficile trovare il proprio posto e il proprio senso.
Un uomo, Raphaël Thiéry, un costeau dal passo claudicante ma dalla forte e possente fisicità, torna da una guerra alla ricerca di Marie, la donna amata. Troverà una piccola Juliette di pochi mesi, accudita da una donna che ha avuto la generosità e la forza di prendersene carico dopo la morte della mamma Marie. Questa donna, Adeline – interpretata da una magistrale Noémi Lvovsky che avevamo lasciato a Clermont-Ferrand coprire con le sue urla di piacere lo scoppio delle bombe islamiste nel film di Alain Guiraudie, Viens! Je t'emmène – come spesso accadeva alle donne rimaste sole, in contesti rurali, durante le guerre degli uomini, è una donna, ma anche un uomo. O forse, usando una definizione di oggi, è una figura non-binary capace di prendere sulle sue spalle una piccola comunità che si deve ricostruire e ridefinire nel modernità che scappa da ogni lato.
Adeline trova lavoro a Raphaël come falegname, e insieme a lui cresce Juliette trovando il modo di resistere alle brutture del mondo maschile che li circonda. E Juliette cresce e si forma tra la solidità di Adeline e l'esprit optimiste e i giochi di legno di Raphaël. E come non pensare alla meraviglia che quei giochi di legno, sopravvissuti alla Prima Guerra Mondiale anche loro, ci hanno già provocato in Ghiro ghiro tondo mentre le mani e la camera di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi li liberano dagli scatoloni in cui stanno e li filmano regalandoceli. C'è un po' di quella stessa sorpresa per chi guarda nel film di Pietro Marcello.
Juliette adulta – esordio impressionante di Juliette Jouan – non fa altro che sorprenderci e non fa altro che metterci in difficoltà con quel suo stare nel film/mondo con leggerezza (nell'attesa del bel principe azzurro Louis Garrel), bellezza (costellando il tempo di musica e canzoni), forza (resistendo ai tentativi di violenza dei giovani uomini del paese), e empowerment nel senso più femminista di questa espressione. Ma Pietro Marcello non fa, giustamente, un film femminista. Realizza un racconto con cui mette in difficoltà la maschilità, una maschilità senza identità di fronte a figure che quella identità l'hanno saputa trovare, costruire con estrema difficoltà e con estrema leggerezza.
Il film finisce con Juliette che canta Les Hirondelles di Louise Michel, comunarda e anarchica morta a Marsiglia nel 1905, tracciando un filo con Enrico Malatesta, anarchico napoletano, citato in Martin Eden. Questo filo, che unisce identità marginali capaci di veleggiare tra i mari oscuri delle modernità, sta diventando sempre più la cifra, bella, del cinema di Pietro Marcello.
“Hirondelle aux yeux noirs, hirondelle, je t’aime !
Je ne sais quel écho par toi m’est apporté
Des rivages lointains ; pour vivre, loi suprême,
Il me faut, comme à toi, l’air et la liberté.”