Concorso

The Apprentice di Ali Abbasi

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Dopo un’opera a sfondo politico come Holy Spider Ali Abbasi sceglie di alzare ulteriormente il livello dell’impegno accettando di dirigere un film diversissimo dal precedente, il suo primo in lingua inglese, ma altrettanto orientato a entrare nel merito della più stretta attualità politica. The Apprentice è infatti interamente incentrato sulla figura di Donald Trump. Il film – che attraverso il titolo evoca il reality show sull’imprenditoria condotto da Trump per 14 stagioni fra il 2004 e il 2015 – racconta l’ascesa dell’ex presidente Usa nel mondo dell’edilizia di Manhattan fra l’inizio degli anni Settanta e la metà del decennio successivo, approfondendo soprattutto il rapporto di Trump con il controverso avvocato newyorkese Roy Cohn e quello con la prima moglie Ivana Zelníčková.

Adottando uno stile visivo e una fotografia che ricalcano le immagini televisive degli anni Settanta-Ottanta, Abbasi mette in scena un racconto – scritto da Gabriel Sherman – dove Trump emerge come una figura grottesca e inadeguata. Mosso soprattutto dalla propria estrema ambizione e spregiudicatezza nel campo degli affari, l’erede di una delle famiglie più ricche d’America, si fa strada in un mondo di squali rimanendo nonostante tutto una specie di eterno parvenu il cui unico merito è quello di essere capace di una – ingenua – ostinazione attraverso cui riesce sempre a ottenere quello che vuole.

Come un alieno che arriva in un pianeta affascinante ma sconosciuto, il Trump di Abbasi sembra non capire mai fino in fondo il gioco in cui si trova coinvolto, riuscendo nonostante questo a giocare meglio di tutti. Il suo (unico) merito, nel film, è quello di riuscire mettere in scacco tanto gli ordinamenti legislativi su cui si regge la democrazia americana, quanto il sistema capitalista sfrenato e barbaro che domina la New York degli anni Ottanta. Quest’ultimo in particolare, incarnato totalmente dalla figura Cohn – avvocato, faccendiere, consigliere politico per figure di rilievo del partito repubblicano da Joseph McCarthy a Ronald Reagan – si sgretola lentamente in una decadenza morale, oltre che materiale, alla quale Trump, che sembra interpretare i tempi meglio di tutti e perseguire fino in fondo il proprio individualismo, riesce a sottrarsi.

Allo stesso modo che con Ivana – goffamente corteggiata prima, sposata per orgoglio poi ma sempre manifestando un’evidente inferiorità all’interno del rapporto e infine scaricata cinicamente ai primi sintomi di monotonia – Trump volta le spalle a chiunque lo abbia aiutato nella sua corsa sfrenata verso il potere, la fama e la ricchezza. Riuscendo a mostrarsi pubblicamente – e a consegnarsi alla storia – come unico e solo artefice di se stesso.

Ciò che gli autori di The Apprentice intendono mostrare attraverso tutto questo – cui allegano un’estetica dei corpi e degli ambienti fatta di abiti sfarzosi ed eccessivi, mascheroni di fondo tinta, chirurgia estetica, lusso pacchiano ed esibizionismo – è una sorta di “profezia della presidenza”. Ovvero l’idea che la personalità di Trump, i suoi modi, la sua ideologia e il carattere mostrato durante gli anni alla Casa bianca, si siano formati in quegli anni di vertiginosa ascesa. Il disprezzo per la politica, l’autoritarismo, l’incapacità a riconoscere i meriti degli avversari, la fede incrollabile nelle strutture (e storture) del capitalismo, la mancanza di morale e l’inclinazione a violare la legge, oltre a una totale assenza di empatia – sottolineata nel film dal sostanziale disinteresse per le sorti del fratello maggiore Fred Jr., debole, depresso e alcolizzato, morto prematuramente a 42 anni – sono tutti atteggiamenti, azioni e pensieri che Trump sviluppa durante quest’epoca di forti passioni.

A mancare è però un discorso che entri nel merito, che affondi oltre la superficialità dell’immagine patinata e luccicante messa a cornice al racconto. Riflettere su una delle personalità più emblematiche e controverse della storia contemporanea significa infatti prendere posizioni che vanno al di là dello sberleffo o della parodia. In The Apprentice tutto si risolve in un bozzetto piuttosto fiacco di situazioni, avvenimenti, episodi della vita di Trump che non raccontano nulla più di quanto già si sappia o comunque si sia in grado di immaginare rispetto alla storia di un uomo come lui. Se l’intento, per di più, è quello di fornire una rappresentazione negativa della sua figura – data la particolare contingenza storica, con le elezioni presidenziali che incombono – il dubbio è che un’opera così non sposti di una virgola le opinioni. E non solo: come spesso è successo quando si è cercato di colpire Donald Trump fuori dal contesto della politica, il rischio è che questo tentativo di screditarlo e ridicolizzarlo possa diventare l’ennesima arma a favore della sua retorica populista sempre in cerca di nemici attraverso cui legittimare l’eterodossia e l’indisciplina della sua condotta.