Questa notte, su Paramount Channel, all'1:00 andrà in onda Ufficiale e gentiluomo. Diretto, nel 1982, da Taylor Hackford, con Richard Gere, Debra Winger e Louis Gossett Jr. (Oscar come miglior attore non protagonista nella parte del sergente Foley). Riproponiamo la scheda a firma di Franco La Polla che pubblicammo su Cineforum 221 (acquistabile qui).
Fra gli infiniti sottogeneri del cinema americano figura a buon titolo quello “d’accademia militare” (uno per tutti: La lunga linea grigia di John Ford). Solo che, per ovvie ragioni, una volta gli allievi alle prese col sergente di turno (la casistica di quest'ultimo personaggio è larghissima, e va da macchiette come Victor McLaglen a sadici come Rod Steiger) esibivano un eloquio da signorinette collegiali del tutto inverosimile se confrontato al colorismo verbale delle caserme. Oggi le cose son cambiate e in un film come questo Richard Gere e camerati possono tranquillamente percorrere l'intera gamma delle imprecazioni sessuali senza alcun divieto censorio. Ma per carità, non è di censura che vogliamo parlare adesso, bensì di un film abbastanza abile che mescola il “realismo” di linguaggio e situazioni ai modelli etico-sentimentali più battuti e noti. Talchè l'anziana ed elegante Joan Fontaine, premio Roberta di Camerino a San Sebastian, può giustamente affermare che se le offrissero oggi di lavorare in una pellicola come questa tornerebbe con entusiasmo sul set (ma in quale ruolo? l'asta della bandiera?).
La Fontaine ha ragione: le parolacce contano poco. Conta invece il sostanziale romanticismo (aggiornato, d'accordo) della storia sentimentale, il vecchio, sfruttatissimo modello del "sergente di ferro” che fa vedere i sorci verdi alle sue reclute e che alla fine tradisce - solo per un momento, naturalmente - la sua umanità (ma in pretto stile anni ’80, con un “fuori dalle palle!” a quel gian burrasca di Gere). Taylor Hackford però non è uno sprovveduto (e nemmeno il suo sceneggiatore): è al suo secondo lungometraggio, è vero, ma si è fatto le ossa come presentatore televisivo di programmi rock. Vale a dire che conosce i meccanismi mitologici che attirano il consenso delle masse. Così, con furbizia, costruisce un rapporto parallelo fra divisa e istituzione matrimoniale: parallelo e oppositivo, cioè, in modo tale che quando Gere entra nella fabbrica di carta lo stupore delle operaie diventa il nostro. Due classi si congiungono, il miracolo è compiuto. Maternità, classe, onore, passato, dovere, legge sono gli ingredienti di questa torta nuziale sulla quale campeggiano le miniature (ché tali sono solo e soltanto) dei due sposini, lui in divisa bianca, lei in panni proletari.
Oh, Hackford sa quando usare i primi piani, i campi totali con sfondo oceanico, i campi e controcampi su un dialogo da romanzo ottocentesco minore. Riesce persino, il volpone, a infilare una donna fra i cadetti (e l'uomo, naturalmente, le dà una mano, la spinge alla vittoria su quel simbolico muro del percorso di guerra).
Una dozzina d'anni fa Ufficiale e gentiluomo (peraltro un ottimo titolo) sarebbe stato immediatamente definito - e per parecchie ragioni- un film “reazionario”. Oggi, probabilmente, farà la delizia non solo di vecchie signore come Joan Fontaine, ma anche di ragazzetti in odore di rivalutare le emozioni, e con esse il recupero dei sentimenti. Niente in contrario. Purché siano davvero sentimenti.