Guardando adesso Alpeis, mai distribuito nelle sale italiane e trasmesso da Fuori Orario il 17 marzo 2014, a più di due anni dalla sua uscita, è quasi impossibile non pensare ai temi che hanno segnato alcune fra le pellicole più interessanti della stagione cinematografica passata: l’attenzione verso il corpo e la sua centralità (La vita di Adele, Lo sconosciuto del lago, Giovane e bella), la riflessione sul lavoro dell’attore come interpretazione d’identità ed esistenze diverse (Holy Motors), nonché l’inevitabile indistinguibilità tra vita reale e recitata (Venere in pelliccia). Elementi questi che ritroviamo nell’ultima pellicola di Yorgos Lanthimos.
L’idea stessa alla base della sceneggiatura di Alpeis – vincitrice del Premio Osella alla 68esima edizione di Venezia – è una meditazione sulla fisicità dell’essere umano: un gruppo di persone forma una squadra che si occupa di sostituire amici o parenti defunti, come sostegno nella difficile fase dell’elaborazione del lutto.
L’importanza quindi di una corporalità intesa innanzitutto come presenza, materia, corpo a sé stante e in quanto tale presumibilmente sostituibile. Anche la regia contribuisce a questa sorta di spersonalizzazione, attraverso inquadrature e primi piani, tagliati o fuori fuoco, di corpi spesso privati della testa.
I membri dell'organizzazione si identificano nelle vette delle Alpi, montagne che possono rappresentarle tutte pur rimanendo insostituibili. Ed è in questo presunto assioma che si autodenunciano i difficili meccanismi interpersonali, tanto più familiari, e i conseguenti condizionamenti indagati da Lanthimos.
Unica via d’uscita, per quanto illusoria, sembra essere proprio l’interpretazione di una parte, la creazione di una falsa esistenza, come mostrato sin da Kinetta (2005) e poi successivamente in Kynodontas (2009), dove si palesavano le dinamiche domestiche come generatrici di conflitti e ribellioni causate da una realtà fittizia e coercitiva.
Famiglie che ruotano attorno a figure patriarcali, a despoti che dettano legge, sembrano dunque accompagnare il cinema greco contemporaneo. Ultima testimonianza, quel Miss Violence (2013) di Alexandros Avranas che tanto ha impressionato alla scorsa kermesse veneziana, presentando i personaggi femminili quali vittime di tali sistemi, come accade nelle realtà grottesche e paradossali di Lanthimos, frutto di un cupo umorismo, uno stile freddo eppure empatico e viscerale, che rende palpabile l’oppressione e la disperata reazione delle sue donne.
Destino questo che coinvolge Monte Rosa, vera protagonista di Alpeis, spinta all’insubordinazione dall’evidente impossibilità di scindere i rapporti umani dal proprio vissuto e desiderosa così, per colmare possibili vuoti emozionali, di sostituirsi ad una figlia modello prematuramente scomparsa, in totale contrasto con l’imperturbabilità professata dal gruppo. La sua crisi culmina nell’ossessiva ripetizione di parole appositamente studiate; parole che – come nelle opere precedenti – testimoniano un’incomunicabilità ormai mascherata d’apparenza, emblematicamente espressa nel provocatorio finale.
Alpi (Alpeis, Grecia, 2011) di Yorgos Lanthimos, trasmesso il 17 marzo 2014 da Fuori Orario – Raitre.