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All’interno del panorama dell’animazione mainstream contemporanea, quella di SpongeBob SquarePants è una parabola estremamente interessante poiché in grado di confermarsi, ancora oggi, come un unicum invidiabile. Le avventure della fauna marina di Bikini Bottom, ideate alla fine degli anni novanta da Stephen Hillenburg, hanno via via raccolto sempre più consensi, divenendo un fenomeno globale in grado di trovare il plauso di numerose generazioni. Così, non solo la notizia di un nuovo lungometraggio a tema, dopo oltre venticinque anni di attività costante, denota già di per sé l’essenza di uno tra i progetti seriali più longevi di sempre, ma il fatto che un colosso come Netflix si scomodi per distribuirlo rimarca ulteriormente il magnetismo che il brand di Nickelodeon continua a esercitare sul pubblico. Probabilmente, solamente I Simpson di Matt Groening possono vantare di meglio in termini di anzianità e risonanza.

Al di là di queste doverose premesse, Plankton – Il film è l’ennesimo tassello di un percorso coerente, fondato su un’identità unica e immediatamente riconoscibile in grado di affermarsi alla corte di qualsiasi grande casa di produzione, idea di marketing o decade temporale con cui si è interfacciata. I timori di essere davanti a un nuovo passo falso, dopo il non proprio folgorante Saving Bikini Bottom (2024), erano alti. Invece questo secondo spin-off della serie dedicato ai personaggi co-primari della spugna gialla (lì la protagonista era la scoiattola Sandy Cheeks, qui il “minaccioso” Plankton) porta in tavola tutte le carte con cui il progetto si è affermato lungo gli anni, senza pensare di fare sconti di sorta o prevedere adattamenti dettati dal cambio dei tempi.

Dave Needham è al suo esordio in cabina di regia. Dopo aver militato a lungo nella scuderia DreamWorks (la casa di produzione che da sempre, per stile e toni, si avvicina maggiormente alle corde della saga di SpongeBob), non sbaglia nel condurre con equilibrio e ritmo uno script piuttosto semplice e non privo di lacune, ma perfetto per porgere l’assist all’ormai classica serie di sequenze nonsense che sono il marchio di fabbrica irrinunciabile della spugna gialla e degli altri personaggi a corollario. Ecco allora che l’inserimento di momenti musicali, i continui e repentini cambi stilistici (dall’animazione CGI a quella tradizionale, passando per l’interazione con il live action) ed estetici (l’uso del bianco e nero, l’omaggio agli anni Venti e via dicendo) traghettano il film saldamente sui binari consolidati, senza voler cedere il minimo passo all’ingombrante N rossa che rischiava, come già accaduto in precedenza (l’esempio più eclatante riguarda la sorte del sequel di Galline in fuga (2000) targata Aardman Animation) di imporre la sua impronta, il suo stile, denaturalizzando la più genuina fonte creativa dell’opera.

Plankton – Il film è invece un prodotto Nickelodeon al 100%. Talmente ancorato alle sue radici che vede tra gli sceneggiatori quel Mr. Lawrence che da venticinque anni ormai doppia, nella versione originale, il protagonista omonimo del titolo e che quindi meglio di chiunque altro conosce ogni singola sfumatura del personaggio. Perciò, se è vero che, per quanto riguarda le logiche del mercato, siamo passati da “squadra che vince non si cambia” a “se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi” (si vedano, a tal proposito, le evoluzioni di saghe quali Fast & Furious, Star Wars, Il signore degli anelli…) SpongeBob inverte la rotta e continua a lavorare contro tendenza, in maniera anacronistica: non si sposta di mezzo centimetro dal suo asse e, così come è nato, continua a macinare chilometri, presentandosi come un rifugio sicuro e affidabile a qualsiasi età, in qualsiasi decade, con qualsiasi protagonista. Quadrato. Non solo nello stile dei pantaloni.