Ci sarà sicuramente una parte di critica - mi pare di vederla, mi pare di sentirla - che Ghostbusters: Legacy lo prende con due dita appena, guardandolo con disgusto, come si trattasse di un rifiuto maleodorante. I motivi? I soliti: la Hollywood contemporanea brutta e cattiva, la mercificazione della nostalgia, il confronto impari con l'originale, si stava meglio quando si stava peggio.
Eppure, io che sono un passatista, un nostalgico residuato del Novecento, e che al tempo stesso sono spesso insofferente nei confronti delle operazioni di vintage, da questo film sono rimasto piacevolmente sorpreso e, perfino, conquistato. Anche dal punto di vista emotivo e sentimentale.
Al posto dei grattacieli e delle strade congestionate di New York, qui ci sono gli spazi aperti infiniti e i diner desolati di una piccola cittadina di provincia dell'Oklahoma, Summerville, dove vanno a finire i protagonisti: una madre (Carrie Coon, una scelta non banale e azzeccata), ma soprattutto due figli (Mckenna Grace - fenomenale - e Finn Wolfhard). Ci sono finiti perché sono senza un soldo, e lì il nonno dei ragazzi, morto all'improvviso, ha lasciato loro una fattoria sperduta e diroccata. Un nonno che era uno degli Acchiappafantasmi.
Forse anche per l'ambientazione, l'atmosfera che si respira all'inizio, più che quella del Ghostbusters originale, può ricordare quella di Stranger Things (e non solo per la presenza nel cast di Finn Wolfhard): ma a ben vedere le cose sono più complesse di così.
Perché non è Stranger Things, che Jason Reitman vuole evocare. Lui vuole essere, e non rispecchiare, ma i modelli originali sui quali è stata plasmata la serie tv Netflix. Evocare per farsi casomai possedere, non per imitare, se vogliamo fare un parallelo spiritistico, con la chiara consapevolezza che porsi come il riflesso di un riflesso sarebbe stato un errore, nonché un problema.
L'essere esplicitamente meta- di Stranger Things rende, specie alla lunga, sintetica l'esperienza della visione: qui l'impressione è invece che Ghostbusters: Legacy abbia cercato di evitare quanto possibile ogni genere di consapevolezza, gettandosi a capofitto dentro un immaginario anni Ottanta fatto tanto di avventura quanto da dinamiche teen, da restituire senza alcun filtro o rielaborazione, ma con candore, leggerezza, stupore infantile. Spesso, allora, è il sapore dei Goonies, quello che ha il film di Reitman: anche e soprattutto per la voglia di fare dei ragazzi i protagonisti, e degli adulti invece figure di contorno, che più che badare ai figli devono essere da loro accuditi.
Così, per farla breve, attraverso varie peripezie, Phoebe e Trevor scoprono di essere i nipoti di Egon Spengler, e con l'aiuto di due nuovi amici, Podcast (sintesi perfetta tra Data e Chunk, per rimanere ai Goonies) e Lucky (la necessaria quota femminile e pure black) si ritrovano a dover salvare mamma Callie e il suo quasi nuovo fidandanzato Mr. Grooberson (uno stralunato Paul Rudd) e affrontare Zuul, Gozer e i fantasmi del passato.
Il titolo italiano del film tira in ballo il passaggio di consegne, l'eredità, che è quindi in effetti uno dei due grandi temi del film. L'altro invece è evidenziato da quello originale, che è Ghostbusters: Afterlife, e riguarda invece il modo in cui il passato può tornare a vivere nel presente, per illuminarlo, e poi tornare a sparire nel nulla. E il modo in cui il presente può omaggiare il passato, per garantirgli vita eterna.
Jason Reitman è un regista che nel corso della sua carriera, da Juno in avanti, passando per cose niente affatto secondarie come Young Adult e Tully, ha dimostrato una gran capacità nel gestire sentimenti e psicologie, così come il registro della commedia, e qui gli effetti speciali non ne neutralizzano queste doti.
Confrontandosi direttamente col cinema di papà Ivan, così come i giovani Spengler si confrontano col fantasma di Egon, Reitman mette in campo un'emotività complessa quasi sfacciata. E nel finale, che magari dal punto di vista della pura estetica cinematografica è pure un po' pacchiano, la commozione dei personaggi diventa difficilmente distinguibile da quella degli attori, e dei realizzatori, contagiando in maniera inevitabile anche noi che assistiamo a questo spettacolo. Alla chiusura pubblica di alcuni conti, di un pezzo di storia, di un segmento di cinema.
E allora sì, certo, ci sono i soldi, dietro la voglia di realizzare Ghostbusters: Legacy: ma non ci sono solo loro. Il cinema ne trae beneficio, e di conseguenza pure lo spettatore. Con buona pace di chi vuole insistere nello storcere il naso.