Cosa accomuna e allo stesso tempo rende diversi due film come Weekend e Theo&Hugo?
Dopo la visione del settimo lungometraggio di Olivier Ducastel e Jacques Martineau, che a tratti lascia senza respiro per la crudezza essenziale delle immagini, viene immediato pensare a Weekend di Andrew Haigh. Il primo del 2011 è ambientato nella provincia inglese; il secondo nella capitale francese, è del 2015. Sono due opere realizzate con un piccolo budget a latitudini opposte, che mostrano le dinamiche dell’innamoramento improvviso e inaspettato.
In Weekend si racconta in tempo reale, dal venerdì sera al lunedì mattina, la storia di due giovani ragazzi: Russell (Tom Cullen) incontra Glen (Chris New) in un locale gay e tra i due nasce subito una forte attrazione e vivranno un intenso fine settimana fatto di sesso, droghe, chiacchiere, confessioni e scambi di idee. Nonostante siano molto diversi: Glen è uno studente d’arte, Russell fa il bagnino in una piscina di Nottingham, tra i due nascerà un tenero sentimento che li aiuterà a capire chi sono e cosa vogliono dalla vita. In Theo&Hugo dans le meme bateau, presentato alla 66 Berlinale nella sezione Panorama, Ducastel e Martineau, seguono le vicende e l’errare notturno in una Parigi semideserta di Theo (Geoffrey Couët), stagista presso uno studio di design industriale e Hugo (François Nambot), impiegato in uno studio notarile. Qui il tempo diventa ancora più compresso, dai due giorni e mezzo del film di Haigh si passa a una storia serratissima che accade nell’arco di un’ora e mezza, coincidendo con l’esatta durata del film.
Tutto ha in inizio in un baisodrome, L’Impact, situato nei pressi del Marais, luogo deputato agli incontri sessuali. Immerso in una luce argentea un uomo controlla l’orario sul suo telefono: sono le 04:27. Da qui in poi lo scorrere del tempo è annunciato graficamente a intervalli precisi sullo schermo, imitando i caratteri di uno smartphone. Con un gesto veloce l’uomo incastra il suo cellulare dentro il calzettone; a parte le calze e le scarpe che indossa, è completamente nudo. Lo seguiamo giù per una rampa di scale nei sotterranei del locale, dove la luce diventa rosso-blu e ci troviamo d’impatto nel mezzo di un intreccio di corpi che si toccano, si cercano, si avvinghiano, si uniscono, si assaporano. In effetti siamo di fronte ad un falso inizio, l’uomo in questione è il Caronte che ci traghetta nel cuore della storia, è il tramite tra Theo e Hugo. Qui troviamo Theo contro un muro che osserva titubante la scena del sesso di gruppo, ma gradualmente spinto da una crescente eccitazione si addentra nel mucchio selvaggio, sino a trovarsi di fronte a Hugo.
Di Theo e Hugo conosciamo solo le fattezze fisiche e il loro desiderio. Ma dopo un primo bacio appassionato e uno sguardo successivo, occhi negli occhi, è li che si scatena il colpo di fulmine. Si scelgono senza proferire parola alcuna, ormai isolati dagli altri, si abbandonano all’impeto della loro passione in un amplesso prolungato e vigoroso. La scena dell’orgia di ben diciotto minuti è sostenuta dalla bravura e dall’intensità dei due attori, così come tutto il film, e dalle musiche elettroniche a volte sincopate, a volte rarefatte, composte su misura dai Karelle + Kuntur. La lunga sequenza di sesso esplicito, non potrebbe essere altrimenti in quanto scintilla e origine della conoscenza tra i due protagonisti, viene ripresa in modo del tutto naturale, lontano da ogni divieto “morale” e dalla grammatica del porno, che tradizionalmente ricorre a dettagli e primissimi piani di genitali. I corpi sono sfiorati e accarezzati con stile documentaristico, così come accade per le scene di sesso reale tra Glen e Russell in Weekend.
04:47 Una volta fuori, i due ragazzi decidono di passare ancora del tempo insieme. La mdp li segue costantemente, a precedere o a seguire, una volta che questi sono montati in sella alle bici prese in affitto. La velocità delle riprese e i lunghi piani sequenza accompagneranno la graduale conoscenza tra i due. Hugo, ancora eccitato, parla a raffica esaltando la loro unione fisica, come speciale. Theo, più taciturno, ammette di essersi lasciato guidare dall’istinto e di non aver usato precauzioni. Ed è qui che s’innesca il dramma: Hugo rivela di essere sieropositivo, ma sotto regolare trattamento e che la sua carica virale è “non rilevabile”. In questo ed altri momenti del film in cui il confronto è diretto, la camera diventa fissa per lasciare affiorare le emozioni, i sentimenti soffocati e le paure dei giovani amanti. Per Theo, la sieropositività del compagno appena conosciuto, non è mai motivo di emarginazione. Al di là delle circostanze drammatiche, entrambe hanno la sensazione che il loro incontro possa essere molto di più. Hugo, romanticamente e responsabilmente decide di sostenerlo nella profilassi da post-esposizione al virus dell’HIV, raggiungendo Theo all’ospedale, dove si era recato da solo. Il trattamento da seguire è una tri-terapia di 28 giorni, che dovrebbe uccidere ogni traccia del virus presente nel corpo; non senza importanti effetti collaterali.
Una volta fuori dal pronto soccorso, gli animi sono leggermente più distesi e lasciano lo spazio alla scoperta dell’altro. Theo e Hugo percorrono le geometrie di una Parigi notturna, scura o illuminata dai suoi arredi urbani. Abitata da poche presenze, attraversata dalle auto sulle quali si riflettono le luci delle insegne al neon, che restano accese tutta la notte. Guidati dai loro impulsi del momento e dai loro desideri, camminano e/o corrono lungo canali, strade, piazze, viali, incroci, su e giù per scale e sui ponti. Il loro sguardo diventa per lo spettatore lente d’ingrandimento della realtà che li circonda; registrando i mutamenti e i disagi della società contemporanea.
Sono in prevalenza le donne a incrociare il loro girovagare: come il personale medico, la donna delle pulizie, o l’anziana signora sul primo metrò del mattino; che è costretta a dover lavorare ancora, poiché non ha maturato crediti sufficienti per la pensione. “La notte è dei froci e delle donne” considera amaramente Hugo, ormai gli uomini non vogliono fare i lavori più duri. Le uniche due figure maschili che incontrano (oltre all’anziano matto omofobo che li avvicina nella sala d’attesa delle urgenze), sono dei marginali: un venditore di Kebab di origine siriana fuggito dal suo paese e il guardiano notturno nero che ricopre un “piccolo posto di potere”. Due figure che mettono in luce il classismo e la gerarchia su cui si è costruita la società francese.
Alle 05:59 inizia la loro storia d’amore. Poco prima nella piccola stanzetta di Theo, all’ultimo piano di un palazzo, Hugo si lancia in una lunga dichiarazione d’amore e in progetti per il futuro, invitando l’altro a trasferirsi in casa sua. Insieme affronteranno questi ventotto giorni e non avranno paura. La chiarezza e la semplicità dei dialoghi, il loro essere così diretti e strettamente legati all’emotività che pervadono l’intero film, rimandano alle atmosfere degli universi rohmeriani e delle sue eroine. Il film ha una struttura lineare e sembra possedere alcuni degli elementi del ciclo “Commedie e proverbi”: penso al vagabondare notturno di Louise (Pascale Ogier) per le feste di Parigi in Le notti della luna piena; alla durata condensata; dalle 06:45 del mattino alle 07:45 della sera, o ancora la scena finale tra François (Philippe Marlaud) e Anna (Marie Rivière) nel suo piccolo studio in La femme de l’aviateur; o l’irrispettosità delle regole di Sabine (Beatrice Romand) che oscilla tra spostamento e decisione ne Il bel matrimonio. Theo&Hugo (Paris 05:59) il suo titolo internazionale, potrebbe essere il film sull’omosessualità che Eric Rohmer non ha mai girato.
Ducastel e Martineau realizzano un film controverso, romantico e politico al tempo stesso. Servendosi in maniera evidente di alcune delle forme del film di genere, ne infrangono i meccanismi e i codici consolidati, spingendo il tutto a un livello più alto e costringendo oltremodo lo spettatore, a una ricollocazione della “pornografia” nel cinema. Il sesso qui non è puro voyerismo, piuttosto necessità imprescindibile alla funzionalità di ciò che si vuole raccontare. Già altri registi in passato hanno fatto lo stesso: Alain Guiraudie ne Lo sconosciuto del lago, Patrice Chéreau nel suo Intimacy, Catherine Breillat in Romance X e Anatomie de l’Enfer e altri suoi film.
Il film ha ricevuto innumerevoli premi e riconoscimenti, qui da noi è passato in diversi festival tra i quali il GenderBender, ma al momento non ha nessuna distribuzione nazionale. Ci auguriamo che non segua la stessa sorte del film di Andrew Haigh che in Italia è uscito quest’anno in poche sale, a causa del giudizio negativo assegnato dalla Commissione nazionale per la valutazione dei film della CEI, che ha giudicato il film come "Sconsigliato/Non utilizzabile/Scabroso", riconducendolo a due sole tematiche: droga e omosessualità.