Dove guardavano i personaggi di De Oliveira? Dove puntava il loro sguardo sempre sfasato e fuori asse? Nelle immagini, oltre le immagini, prima, dopo, in mezzo? A un certo punto della sua carriera, compiuti o quasi i 90 anni, tra la fine dei ’90 e l’inizio dei Duemila, il regista portoghese girò alcuni film che allora tutti scambiarono per testamentari (lo erano, ma De Oliveira smise di vivere e quindi di lavorare più di quindici anni dopo). In questo mirabile capolavoro, ad esempio, un attore teatrale interpretato da Michel Piccoli, dopo aver continuato a lavorare nonostante la tragica morte dei suoi cari, smette improvvisamente di recitare e abbandona senza spiegazioni un set cinematografico. Prima vaga inebetito per le strade di Parigi, poi arriva a casa e senza dire nulla sale nelle sue stanze. Per la prima volta, un personaggio di De Oliveira scorge qualcosa nel vuoto che vive oltre il fuoricampo – forse la realtà che annulla il cinema; forse, al contrario, la ripetitività del cinema che uccide la vita – e come unica reazione sceglie la più estrema per un artista: il silenzio.