Tra i film della rassegna "Cinema (di)vino", parte del progetto Cinema al cuore” promosso da FIC - Federazione Italiana Cineforum nell’anno della Capitale della Cultura, c'è anche il documentario "Le terre alte" (2020) di Andrea Zambelli e Andrea Zanoli, che raccontano con colori vividi e panorami mozzafiato un anno di vita lungo l'arco alpino attraverso le storie di Virginie (che alleva capre), Marcel (che produce vino) e Valentin (che coltiva ortaggi). Tre giovani, lontani dallo stereotipo dell’uomo e della donna di montagna; espressione, invece, di una tendenza contemporanea, resistente e alle volte innovativa, di vivere e lavorare in alta quota. Abbiamo intervistato i due registi Andrea Zambelli e Andrea Zanoli per approfondire le tematiche del film (l'intervista è a cura di Simone Granata).
Com’è nata l’idea di girare questo film, in quei luoghi e con quei protagonisti?
L’idea nasce mentre stavamo lavorando a un progetto Interreg europeo legato all’Aess (Archivio di Etnografia e Storia Sociale) per avanzare la candidatura come patrimonio Unesco della cultura alimentare alpina. Questo progetto coinvolgeva tutte le nazioni alpine (Francia, Svizzera, Germania, Austria, Italia e Slovenia), e quindi ci siamo ritrovati a girare documentari in molti luoghi, e allora abbiamo pensato che sarebbe stato interessante fare un film più lungo e autoriale. Abbiamo scelto come unità di tempo un anno, per osservare il passaggio e i cambiamenti delle stagioni, e come unità di spazio tutto l'arco alpino, di cui abbiamo voluto rendere l'idea di continuità saltando con uno stacco da un paesaggio all'altro. Partendo da una trentina di situazioni e persone che avevamo conosciuto, abbiamo poi individuato i tre protagonisti del documentario: Virginie, Marcel e Valentin. Una scelta politica e filosofica, dato che loro tre, pur non conoscendosi, sono accomunati dalla giovane età e dal tipo di approccio alla montagna.
I tre protagonisti parlano tre lingue diverse (francese, italiano, tedesco) ma sono legati da un sentimento comune, il che accentua ancora di più la percezione che la natura abbia un linguaggio universale. Era questo che volevate sottolineare attraverso tale scelta linguistica?
Esatto, volevamo proprio restituire l'universalità della natura. I personaggi parlano lingue diverse ma hanno lo stesso rapporto con la natura, vivendo in armonia con essa. E parlano anche agli animali e alle piante di cui si prendono cura. Naturalmente, ciò non significa che non abbiano incontrato difficoltà nel loro percorso, infatti non abbiamo voluto dare un'immgine idilliaca delle Alpi. Ma nonostante gli ostacoli da superare e gli sforzi da sostenere, tutti e tre sono riusciti ad entrare in piena sintonia con l'ambiente.
Dalle parole e dalle espressioni dei protagonisti sembra proprio che i sacrifici e gli sforzi compiuti siano ripagati dal raggiungimento di un senso profondo di libertà.
Ci siamo resi subito conto di questo sentimento di libertà provato dai protagonisti e derivante dal fatto di essere svincolati dai meccanismi della società. Ciascuno di loro lavora tanto ma seguendo il proprio ritmo e quello della natura. E quando non lavorano, possono godere di un'alta qualità della vita. Ma finché non ci sei dentro probabilmente non puoi rendertene conto. Certo, i problemi non mancano, non solo quelli pratici ma pure quelli legati alla burocrazia oppure economici. E anche la gestione delle relazioni familiari non è stata facile per loro. Eppure quel senso di libertà sembra valere molto più di tutto il resto. Ad esempio, ce ne siamo accorti nella scena in cui Virginie ha fatto nascere un capretto. Sempre lei ha detto di sentirsi una sorta di "guardiana della felicita", di cui in qualche modo custodisce il segreto.
Il film si apre con questa citazione di Goethe: «I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi». Cosa avete capito in più sulla montagna attraverso questa esperienza?
Vivere la montagna nella quotidianità è molto diverso dal farlo come turisti. Nella vita di solito siamo abituati a parlare continuamente, mentre lassù si riscopre il valore del silenzio. Tanto che inizialmente pensavamo di montare il film senza dialoghi, poi abbiamo deciso di aggiungere le registrazioni per far emergere meglio il punto di vista dei protagonisti. Virginie, Marcel e Valentin sono di poche parole, ma siamo lo stesso riusciti ad instaurare un legame con loro, condividendo quei momenti, il cibo e il vino, mangiando e bevendo assieme. Sono persone semplici e profonde, hanno compreso il nostro approccio, e così si è creato un rapporto di fiducia.
A proposito di vino: Marcel preferisce dire che "lui non produce vino ma lo accompagna per aiutarlo ad esprimersi al meglio". Già questo la dice lunga sul modo in cui intende la viticoltura...
Marcel è un visionario e un sognatore. Il padre ha un'azienda vitivinicola in Svizzera ma lui non ha voluto proseguire l'attivita di famiglia, scegliendo di buttarsi sul biodinamico in una zona dove la viticoltura è anche complessa, recuperando vitigni abbandonati da decenni. Ama ciò che fa, i suoi collaboratori sono anche suoi amici e non si preoccupano se all'improvviso lui sparisce per andare a volare col deltaplano. Conosce bene ogni sua vigna, e ogni vigna ha la sua storia. Per esempio, c'è una "Vigna dell'Amore", chiamata così perché è in un posto dove le coppie di giovani si andavano a "infrattare"... Naturalmente, ci ha fatto anche assaggiare le sue creazioni, e così abbiamo abbinato nella maniera migliore vino e cinema: due piaceri indiscussi della vita.