Lacan diceva che la morte appartiene al regno della fede, perché bisogna avere fede nel fatto che un giorno tutto questo finirà per riuscire a sopportare la vita. Ma cosa accade quando invece dalla vita non si riesce a uscire? Quando vi si rimane intrappolati come in un incubo? È questa l’angoscia: non la coscienza della propria finitudine come ha spesso pensato la filosofia, ma il fatto di soccombere sotto il peso della vita e non riuscire più a uscirne. È quello che accade a Jenny (Liv Ullmann) quando tenta di uccidersi (“non ho paura, non mi sento sola”), e finisce invece intrappolata nei propri incubi. Perché è quella l’unica cosa di cui aver realmente paura (e su cui infatti Bergman costruisce un vero e proprio horror): essere intrappolati nel proprio insconscio. Non c’è stato film che è stato in grado di mettere in immagini il soffocamento della vita come L’immagine allo specchio (e per una volta la traduzione italiana è più azzeccata dall’originale Faccia a faccia), che avviene proprio nel momento della massima sospensione della normalità, quando la protagonista non ha più casa, il marito si dichiara omosessuale, la figlia le nega il ruolo di madre. Quando insomma la vita rimane nuda. E quando questo accade non si fa esperienza della follia quanto di un inquietante eccesso di lucidità. Da cui è bene provare a risvegliarsi il prima possibile. Se ci si riesce.