Se lo si vede all’età dei protagonisti, è forse la porta migliore per entrare nell’universo Bergman. Si può anche fare il gioco del “c’è già tutto”: i discorsi sulla morte e su Dio, i maschi e le femmine, il teatro, e addirittura già un posto delle fragole segreto e una partita a scacchi con una vecchia che si definisce “un cadavere”. Risaltano i legami con il cinema muto: sovrimpressioni e simbolismi alla Sjöström o alla Stiller, un disegno animato da primi del ‘900.
Ma il cuore del film è altrove: nel sentimento panico della natura, nel suo intrecciarsi con una storia d’amore elementare, che è il prisma attraverso cui si può osservare fisicamente lo scorrere del tempo (la storia è raccontata in flashback; forse tutte le storie d’amore lo sono, in fondo). Un’estate d’amore mostra l’inquietudine di un idillio nel quale si insinuano i presagi della fine, e vive tutto del piacere sensuale e dolceamaro di fissare (anzi, di non poter mai davvero fissare: di guardar fuggire) la mutevolezza dei luoghi, dei corpi, della luce.