Alla fine, di Monica e del suo desiderio (di quell'estate con Monica), rimane solo un fantasma, un riflesso della memoria. Il timido serio Harry, innamorato e gabbato, porta in braccio il bambino che lei ha rifiutato, riflesso nello specchio in cui Monica era apparsa all'inizio del film. Ed eccola, un'ultima volta, completamente nuda, che si confonde con le rocce e il mare. Eccola sdraiata sul motoscafo, che procede verso l'orizzonte, con le onde che si allargano e sembrano abbracciare il mondo, in quell'estate in cui il tempo si era fermato, liberato (attraverso i piani sequenza estatici e un montaggio “magico” sincopato). Quindi era tutta un'illusione? Lui si allontana e dentro lo specchio rimangono tre vecchi che portano via tutto, gli stessi su cui Bergman aveva chiuso la magnifica scena dell'incontro tra lei e lui: loro già lo sapevano che dopo ogni primavera arrivano l'autunno e l'inverno. Poco prima c'era stato quello sguardo in camera di Monica (nel 1953!), sguardo di sfida, sfacciato e doloroso, «il più triste della storia del cinema» diceva Godard. Anche l'ultima sequenza non scherza. Ancora Godard: Bergman è come un «Proust moltiplicato per Joyce e Rousseau». In ogni istante, che non finisce mai, c'è tutto il niente di cui non possiamo fare a meno. Vitale, carnale, cupo, indimenticabile film.