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«Che fatica essere una brava persona»

È la battuta che pronuncia il padre della giovane protagonista, subito dopo aver aggredito brutalmente la moglie. Il nucleo di Girl è una famiglia disfunzionale in un mondo maschilista e in un contesto di indigenza: un uomo per gran parte del tempo ubriaco e violento, che non riesce a mantenere un lavoro che non sia quello che gli garantisce un parente; la madre Chuan, una donna con un passato di allontanamento dalla propria famiglia, che lavora in un salone di una parrucchiera e occasionalmente durante incontri di mahjong. E poi le due sorelle: Hsiao-lee la protagonista, un’adolescente introversa, e la sorella più giovane, dal carattere solare.

Shu Qi esordisce alla regia dopo essere stata attrice di riferimento di uno dei grandi autori del cinema taiwanese, Hou Hsiao-hsien, in diversi film tra i quali il celeberrimo Millenium Mambo (2001). Girl è un film non perfetto, ma di sicuro evocativo. Innanzitutto di un luogo e di un periodo: la Taiwan della fine degli anni Ottanta riportata in vita in un gioco di colori e luci che pervadono il film di un’atmosfera quasi onirica. Il film è un prisma di ricordi, sogni, nei quali si annidano le angosce – come i ripetuti incubi di Hsiao-lee in cui la mano del padre con un gesto aggressivo tenta di violare lo spazio protetto, quell’armadio nel quale la ragazzina si rinchiude – o in cui, ad occhi aperti, prende vita il desiderio  di libertà, come il palloncino colorato che improvvisamente esce dalla cartella della sorella e vola verso il cielo. Soprattutto nella prima parte del film movimenti della camera avvolgono i personaggi, isolandone l’essenza familiare nello spazio della casa, che però non è certamente uno spazio protetto, anzi è il teatro dei conflitti, al quale saranno contrapposti in maniera un po’ didascalica altri luoghi: l’armadio appunto, e poi lo spazio esterno che Hsiao-lee osserva dalla finestra della scuola, dove campeggia l’albero con un merlo posato su un ramo, di nuovo metafora di fuga.

Se il padre risulta un archetipo fin troppo scontato, più efficace è la rappresentazione dei personaggi femminili: la madre incapace di reagire, condizionata dal proprio passato e da un’insoddisfazione che trasferisce sulle figlie, e che alterna indifferenza e rancore soprattutto nei confronti di Hsiao-lee; la sorella fatalista: «Come fai a sorridere quando ti prendono in giro?», «E cosa devo fare, piangere?»; la proprietaria del salone che in più di una occasione si schiera dalla parte di Chuan. E poi Hsiao-lee, i cui occhi sempre velati di incertezza o di ostilità nei confronti dei genitori, a volte si riempiono di stupore, come quando spinge lo sguardo oltre una breccia nel muro.

Quella fuga desiderata diventa realtà per la ragazza quando nella scuola arriva una nuova studentessa, Li-li. Una ragazzina più disinvolta, che sceglie come compagna di avventure proprio Hsiao-lee. Shu Qi evoca il suo maestro, con le due giovanissime che acconsentono ad una gita con alcuni ragazzi e sfrecciano con loro sui motorini, allargando le braccia nella notte calda. Al ritorno a casa sarà invece la pioggia battente a sancire la resa dei conti con la madre, in ogni caso non quella definitiva, perché il confronto adulto tra quest’ultima e una Hsiao-lee ormai donna avverrà alcuni anni dopo. Proprio in quel momento, mentre la figlia si chiude in un pianto dirotto sopra un piatto di noodles, il film offre uno degli spunti migliori, almeno a parere di chi scrive: in pochi tratti una sintesi del personaggio di Chuan che in conclusione appare ancora più sfuggente e incompreso, mentre la macchina da presa lentamente si allontana. Un momento fatto di sguardi colmi di ansia malcelata, frasi spezzate di fronte a quella figlia lontana da tanto tempo, e silenzi.