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Presentato alla trentesima edizione del festival del cinema di Busan nella sezione Vision – Asia, che offre una selezione delle più innovative opere indipendenti prodotte in Corea e Asia nell’ultimo anno, Shape of Momo è il ritratto di tre generazioni di donne nella quotidianità di un remoto villaggio in Sikkim. Il film, il cui titolo evoca la forma dei tipici ravioli e che già era stato inserito nel programma di altri festival prestigiosi come Cannes e San Sebastian, segue le vicende di Bishnu, una ragazza che ha lasciato il lavoro a Delhi per tornare nella propria terra d’origine, alle pendici dell’Himalaya. Qui vivono la madre, che si occupa di gestire la casa e l’aranceto dalla morte del marito, la nonna anziana, e la sorella incinta, in visita dalla famiglia per sfuggire alla pressante relazione con la suocera.

La regista, nel film di esordio, per sua stessa ammissione prende spunto dal proprio vissuto per tracciare i confini di un mondo nel quale il sistema patriarcale segna il passato e il presente di ogni donna.

Ciascuna protagonista, a modo suo, si dibatte per superare le piccole e grandi sfide quotidiane, ma la presenza maschile incombe, condiziona, anche se non fisicamente presente: la nonna vive in costante attesa del figlio lontano, la madre non fa che evocare il marito defunto per tutelare la propria posizione nella comunità - che sia appendendone i vestiti  a stendere per simularne la presenza, o rispondendo ad un estraneo che arriva alla sua porta che l’uomo sta per tornare -, la sorella discute al telefono con il marito con il quale è in disaccordo. Bishnu da parte sua prova a scalfire il sistema, tenta di convincere la madre e la sorella a cambiare il proprio approccio nei confronti del mondo esterno e a far valere i propri diritti, ma con scarso successo.

In un susseguirsi di primi piani e sguardi verso l’esterno si percepisce il conflitto emotivo della protagonista, in bilico come un funambolo sul limite tra il proprio sentire e i fili delle relazioni familiari e affettive che rimangono ancorati alle regole arcaiche. Anche la relazione con Gary, il giovane e brillante architetto conosciuto nel villaggio, risente delle incomprensioni e dell’educazione di entrambi.

Non mancano piccoli momenti di ironia che passano attraverso i dialoghi familiari, soprattutto con l’anziana un po’ burbera, così come sottili inquietudini rappresentate visivamente dalle ombre danzanti degli estranei che si sono accampati nella proprietà senza permesso. Assume poi una connotazione quasi violenta il rotolare delle mele che Bishnu ha portato in dono alla famiglia che si occupa dell’aranceto, ma che il ragazzo con cui ha discusso lascia rotolare dall’alto verso di lei, in modo che i frutti si sfracellino sulle rocce. Le emozioni si mescolano nell’animo di una donna che, è evidente, è combattuta tra la volontà di indipendenza e il negare la stessa per proteggere i propri affetti. La sequenza finale, nella composizione dei panni stesi sul prato, la coglie come una presenza/assenza in un mondo dalle regole immutabili.