Concorso

Eddington di Ari Aster

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In fisica, citando la Treccani, la luminosità di Eddington è il “limite superiore alla luminosità che può essere emessa da un corpo sferico in equilibrio idrostatico, per esempio una stella, al di sopra del quale la pressione che la radiazione esercita sulla materia prevale sulla forza di gravità, rendendo il corpo instabile”.

Nel nuovo fluviale film di Ari Aster, Eddington è invece una cittadina nel deserto del New Mexico che, in quanto a rischi di instabilità, non ha nulla da invidiare ai corpi celesti. Il film inizia con un vagabondo che invoca su Eddington una punizione divina, maledicendo il luogo biascicando un mantra sconnesso, nello stile del Trashcan Man del kinghiano L’ombra dello scorpione.

Siamo nel maggio 2020, in pieno Covid: in piena notte, ai margini della città, sta guidando lo sceriffo Joe Cross, ciancicato e asmatico, refrattario alle regole imposte dalla pandemia. Una pattuglia della contea limitrofa lo ferma e gli intima di indossare la mascherina con metodi sempre più autoritari. Cross prima si rifiuta, poi cede. Intuiamo sin d’ora che quell’uomo cela una rabbia che prima o poi è destinata a esplodere. A Eddington intanto si preparano le elezioni per il sindaco: il primo cittadino uscente, l’ispanico Ted Garcia in ansia da riconferma, punta tutto sulla costruzione di un nuovo centro di alta tecnologia che rischia però di assorbire energia e acqua della cittadina, suscitando malumori anche in seno al consiglio comunale. Una serie di scontri, apparentemente innocui, sulle limitazioni dovute al lockdown alzano la tensione, fino a quando, in un raptus di autoaffermazione, lo sceriffo decide di sfidare il sindaco alle imminenti elezioni.

In questo clima di rivalità sempre più aspra appaiono all’orizzonte gli echi degli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti di Black Lives Matter scoppiati dopo la morte – l’omicidio – di George Floyd. Il “povero” sceriffo Cross, concentrato sulla sua improbabile campagna elettorale coadiuvato dai suoi due soli agenti di polizia – un biondo dalle sopite tendenze razziste e un nero diventato poliziotto per tradizione familiare – è costretto ad affrontare delle emergenze (Covid e manifestazioni di piazza) che nella sua mente orgogliosamente provinciale non sono un problema di Eddington, restano fattori lontani dalle polverose strade di quell’angolo di mondo.

Aster costruisce nella prima parte del film un western contemporaneo con venature di Thomas Pynchon che racconta un’America ostentatamente marginale; usa la satira e il grottesco per raccontare l’irruzione di istanze più grandi, addirittura globali, in un microcosmo altrimenti chiuso come una monade. Anche la descrizione della ridicola dicotomia politica ricalca la polarizzazione tra un’America integrata, superficialmente liberal ma asservita agli interessi del capitale e il populismo becero e familista che in nome della libertà inventa bugie per nascondere l’incapacità di analisi di qualsiasi problematica socioculturale.

Joaquin Phoenix (lo sceriffo) e Pedro Pascal (il sindaco) sono figurine bidimensionali di un’America sempre più piccola e meschina, alla faccia del Make America Great Again. Aster però, come già dimostrato nei suoi film precedenti, non possiede senso del limite. Allo scontro sempre più serrato tra quei due nani che si pensano giganti – più simile a una lite tra pessimi vicini di casa che a una sfida dal carattere istituzionale – affastella suggestioni senza soluzione di continuità: complottismi, fake news, scontri razziali, criptovalute, colossi tecnologici, stupri e abusi veri o presunti, neoguru televisivi, abuso delle armi, derive no-vax. E mentre la televisione trasmette i riots in diretta che infiammano varie metropoli d’America, quel mondo impazzito entra sottotraccia anche nella sonnolenta Eddington generando un cortocircuito impazzito di morte e violenza. E in questo dissennato gioco al rialzo – Aster sembra un accumulatore seriale di tematiche che controlla a malapena – che Eddington (il film, non la città) finisce per implodere su sé stesso.

Le contraddizioni della società americana, che nascondono piaghe purulente, vengono banalizzate, semplificate, ridotte a barzelletta. Il gusto grossolano della violenza sovrasta ogni ambizione satirica fino a svuotarla. L’isteria dei personaggi è compiaciuta e lo sguardo di Aster non sa essere né abbastanza distaccato per dare spessore alla rappresentazione grottesca di quel mondo né sufficientemente empatico per dar corpo e anima ai personaggi. Quel che resta è un’interminabile sequela di scene in crescendo parossistico che sembra divertire il suo autore più che il pubblico. Eddington è un film narcisista, bulimico, ridondante: tanto, anzi troppo, rumore per nulla.