focus top image

Ad aprire il 27mo Far East Film Festival, un horror meno convenzionale di quanto possa far sospettare titolo e argomento.

Dark Nuns, del coreano Kwon Hyeok-Jae (non tanti titoli nel suo curriculum, tra questi i due lungometraggi Troubleshooter, 2010 e Count, 2023) è annunciato come il sequel di The Priests, realizzato 10 anni prima da Jang Jae-hyun, entrambi basati sulle “12 manifestazioni” delle apparizioni del male, con allegato esorcismo. Da notare che il film verrà distribuito prossimamente anche in Italia, dalla Plaion.

Suor Giunia (tutti i membri della Chiesa in Corea portano nomi italiani!) è convinta che il giovane Hee-Joon sia posseduto da un demone. Ma, prima di attuare come vorrebbe l'esorcismo anche se non ne possiede titoli e autorità, la suora, che appartiene all'Ordine della Liberazione (fondato da Padre Kim, suo protettore ora a Roma) e ha un carattere apparentemente molto duro (“parla come un'Intelligenza Artificiale”), dovrà scontrarsi con lo scetticismo di tanti, a partire dallo psichiatra e sacerdote Padre Paolo che vorrebbe usare i normali strumenti della scienza (“I mistici che credono di essere speciali spesso possiedono un ego più forte della media e possono crare illusioni che poi si scambiano per miracoli”). Dopo conflitti e tribolazioni, con al suo fianco l'inizialmente titubante Suor Michela (“sei uno sciamano o una suora?”), membri della nativa religione coreana (notevole questa alleanza sopra le distinzioni di fede) e, da Roma, l'appoggio dell'Ordine dei Rosacroce (!!!: “usi tutto quello che è necessario per salvare il ragazzo”), la “Dark Nun” (è anche il suo soprannome, un po' dispregiativo) e Il Signore del Male che non vuole rivelare il suo nome si affronteranno a contendersi spirito e corpo del piagato e afflitto ragazzino indemoniato.

Ovviamente aspettiamoci tutto il bric-a-brac dei film horror del filone, “rigorosamente” rispettato, anche se con una costante tensione crescente e una meritevole attenzione a non pigiare troppo l'acceleratore sul kitch-grottesco, con in più qualche colpo “di paura” dal sicuro effetto, vedi il capitolo dell'esorcismo dallo sciamano coreano.

La psicologia di Suor Giunia è curata con ammirevole attenzione. Dura, glaciale, sicura di sé, pragmatica, con pochi trasalimenti a denotarne il travaglio e la pena interiore (oltretutto è anche ammalata di cancro), una prova d'attrice che Song Hye-Kyo (i tre capitoli di The Crossing, tra 2016 e 2017 e un premio a lei per la serie The Glory, 2022)  ha superato brillantemente, tra una sigaretta e un duello a colpi di dialoghi e insulti con il demone infestante degno di un duello western finale: “per tre mesi ho vissuto come Suor Giunia, pensando solo come lei”.

Se ai nostri occhi risultano decisamente kitsch le statue e le pitture locali (ci sono delle Madonne con Bambino inquietanti), nondimeno la regia elegante di Kwon Hyeok-Jae consente di passare oltre, con scene di gruppo ben orchestrate (grande pre-finale), così come le atmosfere e l'indulgere (arty) alle carrellate e alle riprese alle spalle del personaggio di turno.

Da notare nel film anche l'uso dell'italiano a Roma (diciamolo: quasi un motivo d'orgoglio nazionale!) anche da parte di attori coreani, segno di un'attenzione particolare che bisognerebbe ripagare con altrettanta passione.