Ne Lo Sceicco Bianco c’è già tutto, o molto, di quello che sarà il cinema di Fellini: non solo Cabiria, ci sono le marcette di Rota, le corse, i prelati, i marinaretti, le troupe, il cinema “più o meno”.
Ma c’è anche e soprattutto l’incontro/scontro tra realtà e sogno. “La vera vita è quella del sogno ma a volte il sogno è un baratro fatale” dice Wanda, ancora in abiti da odalisca (sotto) ma coperta (sopra) dal suo cappottino buono, quello portato per andar dal Papa. “Baratro? B come Bologna?”, le rispondono dall’altro capo del telefono. Basta questo scambio di battute. Perfetto. Ed è l’opera prima.
Lì, in quel baratro, si sono tuffati di testa i sogni di Wanda, le sue fantasie da bambola a(p)passionata, di ragazza moderna, mass-mediatizzata, foto-romanzata… e ci è caduto pure lo Sceicco guascone, saltando dall’altalena magica che si è materializzata tra gli alberi… e anche Ivan, che in un mese vuole essere segretario comunale. D’altra parte in quel baratro si cade facilmente, soprattutto se vivi in un Paese dove gli sceicchi attirati dal mare possono anche diventare gli uomini più potenti del reame. E poi si risale, a tempo di marcia, dibattendosi per cercare di uscirne ma senza sapere più dove si trovi il limite.