Il fenomeno del “controfellinismo” citato da Giacomo Manzoli esiste – soprattutto in Italia – e ha una lunga tradizione, che comprende esempi ben più triviali e teppistici di quelli menzionati nel suo testo. La scelta di non menzionarli è del tutto condivisibile e soprattutto lo è l'appello conclusivo di Manzoli, che auspica una riapertura della Fondazione intitolata al Maestro.
Nel suo testo c'è però un errore critico e storico che va rettificato: Pasolini non è mai stato un “controfelliniano”, tantomeno è stato il primo dei “controfelliniani”.
Quando scrive La ricotta e mette in bocca al regista la celebre battuta “Egli danza, egli danza” Pasolini infatti non pensa affatto a Fellini e soprattutto sarebbe riduttivo interpretare quella scena come una parodia dell'autore di 8 ½. Infatti nella prima stesura della sceneggiatura la domanda del giornalista del “Tegliesera” non riguarda Fellini ma lo stesso Pasolini, ossia “Qual è la sua opinione su Pier Paolo Pasolini” (questa variante significativa la si può leggere in una nota del secondo volume dei Meridiani Mondadori dedicato al cinema pasoliniano).
Evidentemente, in seguito, lo scrittore-regista deve aver pensato che la “leggerezza” e il “disincanto” non si addicevano tanto a se stesso quanto a Fellini e decise di sostituire al proprio nome quello dell'autore della Dolce vita. Ma senza un intento denigratorio o critico nei confronti della sua opera.
Il regista della Ricotta, impersonato da Orson Welles, inoltre, è quanto di meno felliniano si possa immaginare, perché mette in scena la Passione di Cristo seguendo un'inclinazione figurativa manierista (Rosso Fiorentino, Pontormo), che era quanto di più lontano dallo stile di Fellini. Infatti quel personaggio, semmai, è una caricatura dello stesso Pasolini (non a caso ad un certo punto legge una poesia pasoliniana al giornalista), o meglio, di quel tipo di regista estetizzante e compromesso con l'industria culturale che Pasolini non voleva diventare. Un esorcismo, se vogliamo.
Ma al di là di questo, Pasolini non può assolutamente essere considerato un “controfelliniano” perché, oltre ad aver collaborato con Fellini alle sceneggiature di Le notti di Cabiria, di La dolce vita e del non realizzato Viaggio con Anita, ha dedicato al cinema dell'autore di Amarcord alcuni testi, fra cui il bellissimo Nota su “Le notti” e soprattutto La dolce vita. Per me si tratta di un film cattolico, dove intervenne in difesa di Fellini nel dibattito infuocato sollevato dal film nel 1960.
Poi ci furono polemiche personali (la mancata produzione di Accattone da parte di Fellini nel 1961) e professionali (la contestazione contro la mostra di Venezia, l'anno in cui Fellini vi presentò Satyricon, che Pasolini non amò). Ma, come è ampiamente documentato, Pasolini dimostrò sempre un particolare interesse per l'opera felliniana, più che per qualsiasi altro cineasta italiano. Lo conferma, definitivamente, l'esaltazione del film Roma (1972) in queste righe che non possono certo essere attribuibili ad un “controfelliniano”:
I critici non mi pare si siano accorti dell’eccezionale bellezza di Roma (...). Tanto peggio per loro. Rivelano, al di fuori del film, la stessa brutale immaturità e la stessa debolezza spregevole (...) dei personaggi che si trovano dentro il film. (Pier Paolo Pasolini, Descrizioni di descrizioni, Einaudi, 1979).