Lo sguardo pungente, nero, infastidito da tutto e tutti; il volto pallido, magro, con un colorito smorto e grigiastro che, grazie alla calvizie, saliva oltre la fronte, come una pennellata di malessere e depressione; le labbra perlopiù strette in una piega di disapprovazione e malumore, da cui sibilavano le battute affilate e sarcastiche pronte ad investire chiunque fosse nei dintorni.
Jean-Pierre Bacri aveva creato una maschera di clown contemporaneo e metropolitano, al tempo stesso umoristica e drammatica, che si inserisce, con piena autonomia e originalità, nella grande tradizione francese dei Michel Simon ma con una corporalità di segno opposto, non gaudente e afflitta da molte nevrosi odierne. Nell’espressività di Bacri una funzione essenziale lo avevano le parole, che spesso giocavano sulle corde della cattiveria, dello humour nero, delle bugie come arme di difesa e come chiave della sua visione del mondo. Memorabile, a questo proposito,una battuta di Kennedy et moi (1999): «Mi piace che mia moglie mi menta. Per rispetto. Per tenerezza. Per pigrizia. Ogni volta che me ne sono accorto, mi ha toccato». Le parole erano così significative, nell’arte di Bacri, perché era anche uno scrittore, un autore di commedie e di sceneggiature, con un suo stile inconfondibile che fondeva ironia, acuta osservazione delle debolezze umane e disillusione ma con una leggerezza che gli faceva evitare qualsiasi intellettualismo o snobismo. I suoi testi, come le sue interpretazioni, non nascevano dalla letteratura ma dall'attenzione alla realtà.
Era nato a Castiglione, in Algeria, il 24 maggio del 1951 – quindi apparteneva alla stessa generazione di Daniel Auteuil, Jean-Pierre Darroussin, Fabrice Luchini e altri – ma l’aveva lasciata per trasferirsi con la famiglia a Cannes nel 1962. Inizialmente studiò per diventare professore di latino e francese e scrisse pièce per il teatro (Tout simplement, 1977; Le Timbre, 1978; Le Doux visage de l'amour, 1979; Grain de sable, 1982, premio Tristan Bernard) che però lo lasciarono insoddisfatto. Stabilitosi a Parigi, seguì corsi di recitazione e recitò in piccoli ruoli mettendosi in luce con le parti di un prosseneta in Il grande perdono (Le grand pardon, 1982), fortunato poliziesco folkloristico di Alexandre Arcady, di un marito tradito in Prestami il rossetto (Coup de foudre, 1983) di Diane Kurys, accanto a Isabelle Huppert e Miou-Miou, di un barista nel magnifico noir crepuscolare Shocking Love (On ne meurt que deux fois, 1985) di Jacques Deray, con Michel Serrault e Charlotte Rampling. Il ruolo che lo lanciò e ne rivelò per la prima volta le doti comiche fu, paradossalmente, in un film completamente estraneo al suo mondo e al suo stile: Subway (1985) di Luc Besson, dove impersona il catastrofico ispettore Batman (sic), caratterizzato da una vana iperattività, sempre in ritardo e irascibile con quelli che hanno ragione. Nominato al premio César quale miglior comprimario, nei film successivi ottiene finalmente ruoli da protagonista, spaziando fra noir (Mort un dimanche de pluie, 1986 di Joël Santoni), drammi (L'Eté en pente douce, 1987, di Gérard Krawczyk), commedie (Bonjour l’angoisse, 1988, del delizioso Pierre Tchernia, con Serrault), commedie drammatiche (La Baule-les-Pins (1990, di Kurys), avventurandosi perfino in una pazza commedia “oscena” di Jean-Pierre Mocky (Les Saisons du plaisir, 1988).
La svolta decisiva e l’affermazione del talento di attore-scrittore di Bacri avviene negli anni ‘90, quando nasce il sodalizio artistico e sentimentale con Agnès Jaoui, con cui afferma di essere unito da un’affinità profonda: nel 1993 scrivono e interpretano sulle scene la commedia Cuisine et dépendances che ottiene il premio Molière e viene adattata al cinema con successo da Philippe Muyl. Di lì a poco ecco la consacrazione del binomio Bacri-Jaoui grazie a Alain Resnais che li battezza “Jabac” e affida loro l’adattamento della pièce Intimate Exchanges di Alan Ayckbourn per il bellissimo dittico di film Smoking/No smoking (1994), sul ventaglio di “possibili” narrativi innescati dalla casualità e per il magistrale, leggiadro film “cantato”, Parole parole parole (On connaît la chanson, 1997), di cui sono anche interpreti. Nel frattempo i due milioni e mezzo di spettatori attirati dalla commedia Aria di famiglia (Un air de famille, 1996) che Cédric Klapisch ha tratto da un loro testo spassoso sulle difficoltà a resistere alle pressioni della famiglia, consacra la popolarità dei “Jabac” (che vincono via via quattro César per le migliori sceneggiature dal '94 al 2001) e quella di Bacri, in particolare, viene confermata dal trionfo (tre milioni di spettatori) di Didier (1997), dove funziona perfettamente l'accoppiata in chiave surreale con un attore di estrazione più popolare come Alain Chabat. Bacri ha ormai definito e arricchito i lineamenti del suo personaggio di misantropo disilluso, che ha un autentico spessore nella finezza delle sue contraddizioni e nell'irriducibilità della sua solitudine di fronte al detestato conformismo che lo circonda: «Quando recito, faccio in modo che non si vedano le cuciture, che si abbia l’impressione che io stia vivendo veramente quella situazione. Credo che un attore debba avere una certa empatia per la gente, per comprenderla e quindi per interpretarla, condividere le loro emozioni. Ma farsi amare dallo spettatore non è una cosa che mi preoccupa. Io recito il personaggio, se è antipatico, tanto peggio» (“Le Figaro”, 3 ottobre 2017).
L'esordio nella regia della stessa Jaoui, Il gusto degli altri (Le Goût des autres, 2000), film corale sulle dinamiche, le incertezze e le fragilità della borghesia odierna (dove Bacri impersona un personaggio diverso dal solito), è un trionfo (quasi quattro milioni di spettatori) e l'attrice-scrittrice dirige anche le quattro successive commedie della “premiata ditta Jabac”: Così fan tutti (Comme une image, 2004), migliore sceneggiatura a Cannes, Parlez-moi de la pluie (2008), Quando meno te l'aspetti (Au bout du conte, 2013) e Place publique (2018).
Negli ultimi vent'anni prima della morte (avvenuta il 18 gennaio scorso), Bacri continua a diversificare il proprio registro affrontando ruoli ora in commedie ora in drammi, sotto la regia di Claude Berri (Une femme de ménage, 2002), Noémie Lvovsky (I sentimenti / Les Sentiments, 2003), Nicole Garcia (Place Vendôme, 1998; Quello che gli uomini non dicono / Selon Charlie, 2006), Sam Karmann (Kennedy et moi, 1999). Si mette in gioco offrendo una chance a esordienti come Nassim Amaouche in Adieu Gary (2009), film poetico e lunare, ambientato in un villaggio fantasma battuto dal vento, o a giovani registi come Raphaël Jacoulot per l'intrigante poliziesco Avant l'aube (2011), due film interessanti che ottengono però un modesto esito commerciale. Significativi sono anche i suoi incontri con Pascal Bonitzer per la cesellata e malinconica commedia Cherchez Hortense (2012), dove Bacri ci dà una delle sue più estrose creazioni d'attore dell'ultimo periodo, con Michel Leclerc per La vie très privée de Monsieur Sim (2015), road movie su un uomo che ama il prossimo ma non se stesso, e Olivier Nakache e Éric Toledano per C'est la vie – Prendila come viene (Le Sens de la fête 2017), dove riprende in una magistrale “variazione sul tema” il suo personaggio sotto le spoglie di un organizzatore di nozze e banchetti.